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Piazza Goldoni

Qualcuno ha definito questa piazza il centro della città. Certamente da un punto geografico lo è.
Ma forse più che centro geografico piazza Goldoni potrebbe essere vista come piazza di confine tra la parte popolare di Barriera e la parte
altra del centro storico.
La prima con il suo intenso via vai di persone perlopiù anziane che entrano ed escono da botteghe, dal mercato coperto, da Grassilli, dai tanti “baretti” dove fare rifornimento. La seconda con un volto più giovanile e meno “triestin-popolare”. Più lavorativa, ma anche più bighellonante.
Piazza Goldoni è confine tra queste due Trieste, posto di smistamento, stazione dove scendere dai bus per andare nell’una o altra Trieste, per imbarcarsi e tornare a casa.
Da qui passano le principali (nel senso di affollate) linee di bus della città.
E prima la quasi totalità di tram e filovie
(1)
Piazza di smistamento mi pare giusto.


Anche lo stile architettonico dei palazzi è decisamente vario.
Molto elaborati i due palazzi con i portici:  Parisi (quello del Bar Italia); Georgiadis all’angolo con via G. Gallina.
Linee più semplici per gli altri come il palazzo Caccia (con sotto il negozio Bosco e la torrefazione Cremcaffè); il palazzo Tonello (quello con l’orologio); il palazzo Sordina (negozio Castiglioni); il palazzo Piller (quello tra il palazzo che aveva il negozio Villini di macchine per cucire e il basso grattacielo).
Non manca dunque una specie di grattacielo, anni ’60, che bene si armonizza con la nuova ristrutturazione della piazza all’insegna del cemento e del dispregio di ogni armonia con lo stile della piazza stessa. Che appunto oggi, grazie alla colonna “porta CD” , grazie al lungo e semplice muro di cemento
(o forse pietra, ma l’apparire è quello del cemento) sul lato che dà verso palazzo Tonello e all’altro cemento che fungerebbe da fontana (nebulizzatrice d’acqua nei giorni di bora per cui quando c’è vento anche moderato la fontana va spenta),  ha perso del tutto ogni stile. (2)
Inserire il nuovo nel vecchio è operazione affascinante, ma è di pochi riuscire a farlo con risultati positivi e molto spuntata, quasi al limite del ridicolo, è l’arma del dire che a Parigi davanti al Louvre ci sono le piramidi in vetro e cemento.
L’inventare il bello è raro, ma anche il copiarlo non è di tutti.

Dunque né qui né in piazza Vittorio Veneto (la piazza della Posta) abbiamo avuto fortuna.
E la piazza dal suo nascere ha visto molti cambiamenti.
Era uno spazio pianeggiante circondato da orti, viti, olivi e alberi da frutto.  Coltivazioni facilitate dall’ abbondanza di acqua. Da dove oggi c’è la Scala dei Giganti scendeva per l’allora non ripido terreno un ruscello – detto del Castello – che poi andava a congiungersi,  dove oggi c’è Ponte della Fabra,  con l’altro proveniente da Rozzol.  Così è certo che fosse a metà del ‘700.
I carrettieri del tempo che andavano verso l’Istria imboccando quello che ora è la Barriera Vecchia e la via Molino a Vento – o da lì provenivano – avevano l’abitudine di fermarsi in quella radura con al centro un fontanone detto di San Lazzaro perché nei pressi, alcuni secoli prima, era posto  un piccolo lebbrosario ivi situato proprio per l’abbondanza di acqua.
Ed acqua,  ma questa volta razionata e trasportata con le botti, troveranno i triestini secoli dopo nel corso della prima guerra.
Nel ‘700 in questo piccolo paradiso sorgeva una grande e ricca villa dove oggi c’è il palazzo Tonello ( Il Piccolo) e corso Saba; Il suo proprietario, l’architetto fiammingo Johan Conrad de Gerhard, non ebbe fortuna con quella villa che il fisco di allora – chissà forse Imu o Ici non pagata – gli sottrasse mettendola all’incanto.
Anche questa villa, così come la descrivono le cronache del tempo, era piena di alberi da frutto, ulivi, ampi pergolati di viti, terrazze che davano sulla sottostante incipiente piazza. Siamo nel 1765.

Dopo una ventina di anni la villa e il terreno furono acquistati dalla Comunità greco orientale che destinò la villa ad ospedale per gli appartenenti alla Comunità ed il retro a cimitero.
Non di grande terapia motivazionale affacciarsi alle finestre dell’ospedale e vedere sotto il camposanto. Ma comunque onore a tale Giorgio Bojazoglù che, messa mano al suo portafoglio, tutto questo comperò per i suoi  correligionari.
Oltre al ruscello “del Castello” ossia al di là di quella che oggi è via Silvio Pellico, sorse il cimitero per gli evangelisti augustani.
Certo, un tempo tutto il territorio della città era verde, ma qui la fotografia di questo verde mi viene molto nitida.
Chiusi gli occhi, palazzi e cemento della piazza e pietra della Scala dei Giganti non ci sono più.
Solo orti, viti, alberi, ruscelli, villa padronale con giardino, piccoli cimiteri, un fontanone, una radura, dei carrettieri. Si può sentire il profumo della terra umida e ascoltare il rumore dell’acqua che scorre. E tra qualche anno anche il profumo della legna che in quella radura per molti anni avrà mercato.
E la collina di Montuzza piena di alberi – utili per il mercato della legna ivi posto – che scende ancora con calma prima che badili e picconi la facciano erta.  Serve terra e pietrame per fare strade sotto e livellare il terreno.
Le stradette che salgono dal vecchio borgo e dal mare han bisogno di diventare strade e Barriera Vecchia chiede di nascere.
La Scala dei Giganti e le case dietro corso Saba, dietro via delle Zudecche, oggi nascondono la collina spaccata e lasciano lassù solitaria la Chiesa di Montuzza.
I palazzi iniziano a sorgere e lo spazio diventa vera piazza.
In essa fu costruita – a metà ‘800 – una chiesa provvisoria in legno in attesa che la chiesa di Sant’Antonio fosse terminata.
Per molti decenni ivi vi fu deposito degli attrezzi del costituendo corpo dei pompieri.
Per molti decenni ivi trovò posto il mercato della legna da cui il nome di piazza della Legna. Il parziale sbancamento del colle di Montuzza fornirà per anni e anni la legna al sottostante mercato.
Per molti decenni ivi trovarono posto le venderigole prima che per merito della benefattrice Sara Davis fosse costruito nel 1936 il Mercato Coperto.

L’excursus dei nomi testimonia alcuni pezzi di questa storia.
Piazza San Lazzaro (nome dovuto all’ ospedale per lebbrosi che c’era in passato) , Piazza della Legna dal 1820
(3), Piazza Goldoni dal 1902 stante il teatro Goldoni (già teatro Armonia) che sorgeva in un palazzo situato a sinistra del palazzo Sordina (sotto negozio Castiglioni) e demolito nel 1912.
Per completezza va detto che per gli anni della prima guerra il nome fu riportato a quello di piazza della Legna forse perché  il nome Carlo Goldoni portava troppo  all’Italia e verso Venezia dove – anche se tanti decenni prima – avevano guardato molti giovani neo irredentisti dando luogo ai c.d. moti del 1848. (4)
Una piazza è,  anche e principalmente, i suoi palazzi.  Essi meritano capitolo a parte non per parlare di stili architettonici (altri siti su Trieste raccontano alla perfezione ciò) , ma della loro storia che è poi la storia di chi li volle o di chi vi abitò.
Sotto ai palazzi oggi, ancora da tempi addietro, alcuni negozi parlano di commercianti ed è giusto dire anche di questo.

Nota 1
Nel 1935 le linee tramviarie erano in totale 11. Di queste 8 passavano per piazza Goldoni.
Oggi anno 2016 le linee dei bus che passano dalla piazza sono 9  (linee 1 – 5 – 9 – 10 – 11 – 15 – 18 – 19 – 29 ) sulle complessive XX che comprendono però anche tutte le comunicazioni con la costiera, l’altipiano, Muggia.

Nota 2
..”L’effetto (della fontana) contribuisce a separare visivamente le due zone e genera con la ricaduta dell’acqua un suono di fondo costante che spegne il caotico rumore del traffico…”
Tra le tante affermazioni anche questo !! si legge nella Relazione di presentazione del progetto di riqualificazione della piazza a proposito della fontana.
La carta si lascia sempre scrivere. E con il pc è ancora più semplice
Riporto qui alcuni passi di tale Relazione:

L’art. 3 del bando di concorso fissava delle finalità ed indirizzi per lo sviluppo delle idee progettuali, tali finalità sono state perseguite durante l’elaborazione del progetto preliminare e definitivo definendo una serie di requisiti e prestazioni specifiche per l’intervento così riassumibili:
1 armonizzazione, dal punto di vista architettonico, con la vicina Scala dei Giganti e l’area di Parco della Rimembranza recentemente restaurata;
2 armonizzazione con i vari ulteriori interventi di recupero viario cittadino già attuati o in corso di esecuzione;
3 previsione di un monumento dedicato al ricordo delle vittime dei regimi totalitari;
4 rispetto del vigente Piano Urbano del Traffico relativamente al traffico veicolare in transito con particolare riguardo ai mezzi pubblici e con l’eliminazione del passaggio pedonale sulla direttrice via Mazzini;
5 limite perimetrale dell’area della riqualificazione corrispondente alla attuale disposizione degli edifici ivi presenti (compresi gli attuali marciapiedi);
6 mantenimento della centralina di rilevamento dell’inquinamento nella sua attuale posizione per non perdere o rendere poco attendibile o confrontabili i dati sino ad ora rilevati in quel punto.”

Sub punto 1 – Come non rilevare che non vi è alcuna armonizzazione con la Scala dei Giganti che ha un suo movimento architettonico piuttosto elaborato con linee curve e nicchie ed utilizzo della pietra. I manufatti della ristrutturazione della piazza sono marcatamente squadrati e dritti e utilizzano molto cemento.
Il Parco della Rimembranza? Lontano e comunque tutto verde, pietre, minimo cemento. Il verde della piazza è confinato a 5 piante messe in grandi vasi e neppure piantate a terra.
Sub punto 2 – Forse si allude a piazza Vittorio Veneto e questo è corretto dire. A Trieste si dice: el san che porta el malà.
Sub punto 3 – Nessun neppure minimo accenno di legame della struttura con possibili agganci culturali o emozionali al ricordo di vittime. Non per niente il manufatto è chiamato dai triestini porta CD. Manca addirittura qualsivoglia scritta alla base della struttura che dica con qualche parola a chi è dedicata.
Nella Relazione questa struttura è definita:

In asse a via Mazzini e nel centro della piazza un obelisco di vetro, dedicato alle vittime dei regimi totalitari, è in relazione alle vie di accesso e diventa segnale a scala urbana che si rivolge al mare. Faro urbano, fiaccola della memoria, vive di luce propria a perenne ricordo di vite spezzate.”
Sub punto 4 – Ci mancherebbe altro
Sub punto 5 – Ovviamente salvo lo spostare i palazzi.
Sub punto 6 – No. La centralina non c’è più.

Il bilancio è dunque tragico non alla luce di gusti personali, ma alla luce del rispetto degli obiettivi fissati dal Comune nel suo Bando di concorso.
Nella relazione di presentazione del piano (scaricabile da internet) si leggono tutta una serie di autocelebrazioni del lavoro.
Qui solo qualche passo:

“….L’unitarietà della piazza, resa frammentaria dalla presenza delle strade di attraversamento, viene ricercata attraverso il disegno delle pavimentazioni per integrare la piazza al contesto urbano, valorizzando le connessioni con la scala dei Giganti e con l’asse di via Mazzini che collega al mare.
Significativa è la posizione del monumento che si pone come perno urbano chiaramente individuato….”

.“La piazza si presenta chiusa verso le strade di scorrimento da diaframmi e muri che ridisegnano lo spazio centrale cercando di stabilire un dialogo con le cortine laterali degli edifici attraverso l’utilizzo delle pavimentazioni.
Le possibilità di accesso e di percorso sono in questo modo messe in relazione alla molteplicità di relazioni che la piazza genera con le vie e gli spazi pubblici che ruotano attorno ad esso, ponendola come centro di una rete di percorsi di attraversamento dai quali ricava l’energia necessaria alla sua appropriazione ed al suo uso….”
A proposito della cosiddetta fontana vale quanto si legge nelle prime righe di questa nota.
Andate, andate gente, chiudete gli occhi e vi sembrerà di essere nel 1750 con il rivo del Castello e quello di Rozzol che scendono allegri. Altro che auto, moto e bus. La fontana protettrice vi protegge.
La carta si lascia sempre scrivere. E con il pc è ancora più semplice.

Nota 3
In alcuni scritti si trova la data 1886 ma non è corretto. Lo stesso Generini nel suo ponderoso libro del 1884 (quindi antecedente alla ipotizzata data del 1886) parla di Piazza della Legna dal 1820.

Nota 4

In questa poesia di Fulvio Muiesan – prolifico poeta e già autore di molte liriche apparse sulla “Cittadella”, foglio-inserto del Piccolo al lunedì – si fa accenno alla questione “nome della piazza”. Vale la pena leggerla tutta. Si sente che Fulvio Muiesan, essendo nato nel 1918,  quella piazza l’ha vista e quegli odori sentiti e quei colori visti.

Piazza dela legna

Sarà stai quei tre ani
che la gaveva cambià nome
ma per mia nona la iera
ancora piazza dela legna.
De via San Zacaria,
dala casa co’l pergolo
de piera
co’ la borsa dela spesa
e con mi
la traversava el ponte dela Fabra
e arivavimo cussì
in piazza. Che bon odor
de funghi che se sentiva,
iera autuno, e per tera
le done stava sentade
co’l fazoleto in testa
tra fagoti e pianeri
de ovi e de radicio.

“Signora xe suo ‘sto picio?”
ghe domandava le done,
e mia nona contenta
de parer ancora giovine
diseva: “O no no signora,
questo no’ xe fio mio,
el xe el fio de mio fio”.

La mia Trieste, 24 Settembre 2016