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Museo Ferroviario Campo Marzio

Per molti il treno è un mezzo di trasporto più o meno comodo.
Per alcuni il treno è anche altro. Un “altro” difficile da definire. Non certo nostalgia dei tempi che furono, ma ammirazione per locomotive a vapore, locomotori elettrici, elettrotreni, littorine diesel, vagoni rigorosamente di color isabella (tonalità tra il giallo e il marrone), vagoni passeggeri e vagoni letto che hanno fatto la storia dei trasporti in Italia in tutto il ‘900. Colossi di ferro con un’anina … ma qui è giusto fermarsi chè questa passione – come dice Dante in un verso della Vita Nova – intender no la può chi no la prova.
Ma appunto persone ammalate di questa passione hanno dato corpo all’idea di mettere insieme materiale rotabile dismesso dalle ferrovie affinchè la memoria di questi capolavori di ingegneria meccanica e poi meccanica ed elettrica non andasse persa.
Vecchie tecnologie italiane, ma che spingevano la locomotiva a vapore 545 a fine ‘800 alla velocità di 100 km/h e la 690 già prima della prima guerra mondiale a 130 km/h. nonché l’elettrotreno ETR200 a 200 km/h nel 1939.

Giusto mantenere la memoria. E dall’idea si passa ai fatti nel 1984 con l’apertura del Museo Ferroviario che trova sede nella dismessa (dal 1958) stazione di Campo Marzio.
Dai primi pezzi il Museo si è arricchito progressivamente ed oggi sui binari della stazione sono fermi in attesa che il capostazione con il berretto rosso dia il fischio di partenza:
– 9 locomotive a vapore non funzionanti e 2 funzionanti tenute al coperto in deposito alla Stazione Centrale
– 1 tender
– 2 locomotori elettrici di cui uno trifase
– 3 elettrotreni
– 18 vagoni merci
– 5 vagoni postali
– 6 vagoni passeggeri
– 6 diesel da manovra
– 1 carro militare tedesco
– 4 tram dell’ Acegat
– 1 carro scudo tram di Opicina

Questo materiale in parte è stato ristrutturato dai volontari e fa bella mostra di sé. Altro invece attende tempi migliori e … nel frattempo si deteriora ulteriormente.

Il Museo di Campo Marzio è l’unico museo in Italia ad essere dentro una stazione e per giunta di fine corsa mentre tutti gli altri sono in capannoni o dentro altre realtà museali. Unico in Italia ed uno dei pochi nel mondo ad essere collegato alla rete ferroviaria in modo da poter far partire dal Museo treni storici che si immettono su binari in esercizio.
L’altra peculiarità è che questo Museo non raccoglie solo materiale rotabile, ma anche di tutto ciò che è ferroviario però non ha ruote. Quindi oggetti e attrezzature che si possono trovare lungo le linee, ma soprattutto nelle stazioni. Ed infatti nelle sale interne di Campo Marzio con grande ordine troviamo più di 3000 oggetti ed apparecchi e almeno altrettanti sono chiusi nei vagoni merci di cui sopra ed in attesa di essere esposti. Ma lo spazio incredibilmente manca.
La Stazione di Campo Marzio è grande, ci sono spazi attigui a quelli usati dal Museo (per es. quelli a suo tempo occupati da uffici di polizia e quelli nell’altra ala dell’edificio e completamente distrutti con tetto semicrollato), ma le richieste di poter disporre di tali spazi dopo averli ristrutturati a totale carico del Museo non hanno mai trovato risposta da parte delle Ferrovie.

 

Quanto è possibile oggi vedere è dovuto solo ed esclusivamente alla passione di un gruppo di volontari che hanno messo soldi e tanto lavoro oltre ad una grande passione.
Assente ingiustificata le Ferrovie dello Stato cui preme ben altro che non la memoria ferroviaria e di certo men che meno degli interessi turistici della nostra città. Forse qualcosa sta cambiando con la fine dell’era Moretti, padre padrone per tanti anni delle FFSS, e la creazione nel 2014, da parte delle Ferrovie, di una Fondazione per la valorizzazione del patrimonio storico.
Finora tra le Ferrovie e le Istituzioni locali, cui dovrebbero interessare gli aspetti museali cittadini, c’è sempre stato un dialogo tra sordi. Le FFSS a dire che la stazione di Campo Marzio non è un bene di interesse per le ferrovie e neppure il museo. Le istituzioni a dire che hanno interesse per il museo, ma non hanno soldi. E in certe occasioni anche a dire che non hanno interesse per il il Museo che invece dovrebbe essere gestito direttamente dalle Ferrovie.
Appunto… dialogo tra sordi.
In mezzo, vaso di coccio, il Museo e i suoi volontari che hanno però tenuto duro (altro che vaso di coccio !) anche di fronte all’impossibile come il triplicarsi del canone di affitto (da 54 mila euro a 140 mila) da versare alle Ferrovie dal gennaio 2012 e con l’aggiunta che il Museo doveva provvedere alla manutenzione ordinaria ed anche straordinaria della stazione, violando cosi un principio del nostro diritto che dice che le spese della manutenzione straordinaria non competono all’affittuario, ma al proprietario.
Gli introiti del Museo sono solo i biglietti dei visitatori e i contributi dei volontari.
Molto facile da decifrare la mossa delle Ferrovie che non potendo dare corso a vendita della stazione perchè sottoposta – grazie agli studi presentati dal Museo stesso – a ben 3 vincoli da parte della Soprintendenza per i Beni e le Attività culturali (vincolo architettonico per l’edificio che ha nel 2016 ben 100 anni di vita; vincolo sulla collezione che deve restare inserito nel suo attuale contesto di ex stazione; vincolo sui binari che collegano il Museo con la intera rete ferroviaria) hanno cercato in tutti i modi di portare il Museo alla sua fine.
Ma l’importanza assunta nella città da parte del Museo stante la quantità di suoi visitatori, stante l’organizzazione in estate di spettacoli, stante la simpatia con la quale i triestini guardano a questa realtà gestita integralmente da volontari e senza sovvenzioni di alcun tipo, hanno messo la politica locale nella condizione di non poter più fare orecchie da mercante.

Notizie di questi mesi fine 2015: Ferrovie e Istituzioni si stanno per mettere d’accordo. Dita incrociate.
La politica delle Ferrovie dello Stato nei confronti della nostra regione già da molti anni risulta chiara e si riassume in 2 sole parole: dismissioni e progetti di tav. Figuriamoci cosa possa interessare un museo di ferri vecchi. Alcuni di questi ferri ottimamente restaurati dai volontari ed altri che sono lì ad arrugginirsi veramente perchè mancano i soldi per i materiali del restauro.

In Italia ci sono altri 7 o 8 musei ferroviari, qualcuno voluto e gestito direttamente dalla Regione (quello di Torino), qualche altro come quello di Pietrarsa (Napoli) gestito direttamente dalla neonata Fondazione FS con molti rotabili in più, ma nessuno che contenga rotabili ed anche tutto ciò che rende possibile ai rotabili di circolare. E come dicevo prima, nessun museo con sede nel suo habitat naturale: una stazione.

L’ ing. Carollo, direttore del Museo ed autore di pregevoli libri sulle ferrovie del nostro territorio, ha lanciato in questi primissimi giorni del 2016 una proposta molto provocatoria forse prendendo spunto – mia idea personale – da recenti dichiarazioni delle Istituzioni cittadine e regionali attestanti l’interesse per il Museo ferroviario e dal rinnovo della convenzione con l’associazione Dopolavoro Ferroviario di Trieste – da cui dipende il Museo) – per la sua gestione fino al 2018.

Carollo dice: creiamo una Fondazione per l’archeologia industriale di Trieste che unisca tre siti, la Centrale Idrodinamica, l’Ursus e il Museo Ferroviario.
Note a commento di questo sogno nel cassetto dell’ing. Carollo.
Nelle vacanze natalizie 2015 si è registrato record di turisti in città, ma i musei cittadini erano perlopiù chiusi.
L’Ursus stanco di deperire giorno dopo giorno  non aspetta altro che una buona bora per rompere gli ormeggi e tentare ancora una volta la fuga in mare aperto (quella del 2012 gli andò male e fu ripreso dai rimorchiatori)
La Centrale Idrodinamica. L’Istituto di Cultura Marittima Portuale che ha voluto e curato la ristrutturazione e la gestione quale museo della Centrale Idrodinamica non esiste più spazzato via dalle ultime decisioni della gestione della ex presidente Autorità Portuale, Marina Monassi. La Centrale Idrodinamica quale spazio aperto ai visitatori è così divenuto spazio chiuso salvo eventi speciali (es. Barcolana 2015)

Questa è la realtà (triestina) nella quale è inserito il Museo di Campo Marzio con i suoi volontari che lo animano.

Non ci fosse la domanda ci sarebbe da discutere su quanto investire sul turismo, ma la domanda c’è. Il numero di turisti che visitano Trieste è in costante aumento e per tornare al Museo ferroviario essi hanno avuto nel 2015, rispetto il 2014, un balzo di 1000 unità (da 5000 a 6000 persone).

Dalla Stazione di Campo Marzio sono sempre partiti i treni storici, anche trainati da locomotive a vapore, organizzati dalla Associazione Ferstoria. Ma già il treno storico del 2014 non è partito per Opicina per poi scendere verso Aurisina e piegare verso Trieste Centrale. I binari da Campo Marzio verso Opicina e quindi verso Slovenia, Austria non erano e tuttora non sono (inizio 2016) più agibili.
Ci sono tanti modi per dire che Campo Marzio non è più nulla e per punire la realtà del Museo che con la sua presenza e con il richiamare attenzione su quella realtà storica ha contribuito a rendere per le Ferrovie italiane l’edificio di poco o nessun valore commerciale. Nessuna speculazione edilizia per il vincolo delle Belle Arti.

Il Museo interessa anche ai bambini (quelli di 10 anni ed anche quelli di 50) per 5 plastici sui quali viaggiano – per tortuosi percorsi con gallerie, ponti, stazioni – molti treni.
Uno è la fedele riproduzione della stazione di Villa Opicina com’ era quando fu costruita. Altri sono di fantasia e la fantasia di grandi e piccoli viaggia veloce e in sicurezza su quei binari a scartamento HO.
Locomotive e vagoni sono del Museo, ma altri vengono aggiunti dai soci che li mettono a disposizione in occasione di manifestazioni particolari.

Grandi locomotive da varie tonnellate, tram che hanno fedelmente servito la città, modellini funzionanti di trenini, una stazione di importanza storica tutelata dalle Belle Arti, la passione dei volontari sono un tutt’uno che si chiama dunque Museo Ferroviario di Campo Marzio.
Da vedere il mercoledì, sabato e domenica dalle 9 alle 13 salvo future variazioni.

Molte di queste foto sono state scattate nel marzo 2012 in occasione della visita al Museo da parte del giornalista sportivo Bruno Pizzul che ha voluto richiamare con la sua presenza l’attenzione delle Istituzioni coinvolte nei processi decisionali relativi al Museo.

 

La mia Trieste, 10 Gennaio 2016