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Via Molino a Vento

Non è difficile capire – visto il nome chiarissimo – che in tempi non recenti, ci fosse da quelle parti, qualche molino a vento. Nella città del vento cosa di più facile che per attività produttive lo si possa utilizzare come forza motrice?
Ma le cose non andarono bene perché due tentativi, uno a metà 1700 e l’altro verso la fine, fallirono per la impossibilità di gestire un vento troppo a raffiche e spesso troppo forte per i mulini che hanno bisogno di un vento più costante e di non elevata forza.
Ma la comparsa di questi strani aggeggi nella zona a scendere verso nord dal colle di Chiarbola fu più che sufficiente per lasciare traccia di nome nella importante via di transito che dal centro portava verso l’Istria. Via che essendo anche di traffico merci ebbe necessità di essere rafforzata sicchè nella prima parte del 1700 si provvide a consolidare la via con un robusto muro che è quello che noi vediamo nella prima parte della strada e divide, partendo da Piazza Garibaldi, il viale d’Annunzio dalla gradiente Molino a Vento.

La via è lunga e come spesso accade in questi casi la sua fisionomia muta di tratto in tratto. Resta come 100 anni fa tutto il primo pezzo con le alte case sulla destra e pian piano si abbassano e stradine (via Castaldi, via Caprin, via del Rivo) che in ripida salita portano verso la piazza di San Giacomo.
Sulla sinistra il muretto che lascia vedere sempre più in basso il trafficato viale d’Annunzio fino ad arrivare alla scala che scende al Largo Sonnino sopra l’imbocco della galleria che fu rifugio antiaereo nell’ultima guerra. La vista da lì si apre e la stretta via Matteotti – un tempo via Media – calamita lo sguardo fino in fondo contro le case di via Piccardi e su verso San Luigi il cui colle apparirà sempre meglio man mano che si sale.
Nel 1800 quel muretto era il banco su cui esporre oggetti vecchi in vendita, ma soprattutto vestiti usati perchè lì era posto di rigattieri. Per i vestiti era luogo strategico in quanto, essendo la Molino a Vento strada di comunicazione con l’Istria e l’est, da lì passavano i nuovi arrivati che preferivano cambiare i loro vestiti caratteristici con abiti locali sì da essere meno riconoscibili come stranieri.
Il Pinguentini viceversa rileva che i clienti abituali di questi rigattieri erano contadini e scaricatori di carbone del porto, generalmente istriani, che abitavano a monte della via.

Quella che doveva essere la fisionomia della via intorno al 1800 è ciò che ci offre il secondo tratto.
A destra il verde degli alberi oggi protetti dentro il parco giochi che sorge dietro il “vaticano” di via dell’Istria e sulla sinistra basse case ad un piano, ristrutturate, ma che risalgono a quei tempi.
Insomma tutto diverso da quello che chiamo il terzo tratto, quello che va dallo slargo che porta da una parte a via dell’Istria e dall’altra all’imbocco della via del Veltro. Qui tutta la via da una parte e dall’altra ospita solo moderni condomini quasi fin alla sua fine, davanti alla Maddalena.
Ma prima ancora qualche tocco di vecchia poesia come quell’arco che porta a piccola aia con delle casette e che noti solo se passi a piedi ed anche lentamente. E la ciminiera della lavanderia della Maddalena di cui dibattito su qualche sito se questa ciminiera debba essere abbattuta o tenuta dentro il patrimonio dell’archeologia industriale.
Appunto, siamo arrivati alla Maddalena che però merita discorso a sé.
Li davanti alla bella palazzina rosso mattone termina la via e prosegue con il nome di via dell’Istria per arrivare lontano lontano su a Cattinara.

PS.  Breve aggiornamento. Qualcuno mi ha fatto notare che molte foto riprendono case vecchie e di nessun interesse. Lo so e questo è del tutto voluto. Come dico nella prefazione questo sito vuol anche raccontare la Trieste che c’è ora – appunto con le sue case vecchie e diroccate o piccolissime già inglobate da palazzi moderni – e domani non ci sarà.

La mia Trieste, 14 Marzo 2016