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Via Tigor

Non ho mai avuto confidenza con questa via. Se la penso essa mi appare scura, priva di vita e vitalità. Se la percorro mi appare triste. Anche le persone – poche – che incontro mi sembrano frettolose e schive.
Mi riferisco al primo tratto – quello storico – e non la breve parte finale, dritta in piano, prima di finire là dove inizia la strettissima via delle Ville.
La mia osservazione è del tutto soggettiva e se qualcuno mi dovesse chiedere di dare qualche indicazione più concreta, brancolerei nel buio.
Quante vie in Trieste sono strette ed erte, ma nessuna mi fa questo effetto.
Dal basso la si imbocca dalla via Madonna del Mare, subito dopo l’ex scuola magistrale Carducci mentre l’angolo di sinistra è l’edificio oggi sede della Biblioteca Civica e già sede del Comando Vigili urbani e già sede, in tempi bui, del carcere usato anche dai nazisti negli ultimi anni della guerra. Da questo carcere venivano spesso prelevate le persone da impiccare o fucilare per le rappresaglie a seguito di attentati. Da qui furono prelevate le 51 persone per la rappresaglia di via Ghega (vedasi lapide e corona sul muro del Tartini).
La secca curva a sinistra porta in breve al tratto solo pedonale. Tre paletti in mezzo alla carreggiata sono a fare guardia stretta che la regola venga rispettata.
Passamano sulla sinistra, uno di quelli sopravvissuti. E così si arriva laddove da sinistra sale la via Cereria e all’angolo un dirupo verde. Forse esagerato chiamarlo “dirupo”, ma mi sono stupito che su quell’area ci fosse in questi anni, un contenzioso tra il Comune che ne vuole (o voleva) farne parcheggio e gli abitanti della zona che lo vogliono trasformare a giardino.
Certo, se c’è da parteggiare per uno dei 2 contendenti, scelgo il secondo. E buona fortuna.

La parte più caratteristica della via è lì, è il complesso di case denominate Mosco – per intenderci quelle alte sulla sinistra a salire – sono dei macigni severissimi in una zona dove ci si aspetta case di ben più piccole dimensioni. E dunque quanto contrasto con la via delle Ville, menzionata più sopra, che lo è di nome e anche di fatto.
Biagio Marin nel descriverla nel suo poetico “Strade e Rive di Trieste” alterna momenti di soavità con giudizi molto severi come se anche a lui, di questa via, qualcosa non convincesse.
Brevi intercalari parlano di “solitudine” di “ombra e mistero”, di “un incupirsi d’alberi” per poi andare giù pesante “di fronte mi si presenta una brutta casa, che un generoso trasondare di alberi dal muraglione di fronte, seminasconde”.
Ed ancora “s’arriva così tra ignobili casermoni che ti mortificano. Mi si chiudono gli occhi e si passa oltre, in cerca di colore e di vita,” … “lascio dietro a me l’edificio bastardo e arrogante di Nostra Signora di Sion che ben altro meritava”.
Delle case “Mosco” non stento a capire le forti perplessità con cui sono state accolte a inizio ‘900 quando sono state costruite.
Di esse, – mi perdoni da lassù Biagio Marin – faccio un articolo a parte per documentare lo sforzo per dare una dignità architettonica a questi colossi.
Paragone assurdo diviso da quasi cent’anni di storia e di stile, ma il pensiero corre all’orrido del Melara. Paragone più che mai assurdo, lo so. Ma pensate all’impatto che può aver avuto sugli abitanti della zona, a inizi ‘900, questa costruzione fatta in una via il cui nome – Tigor – sta a significare ciò che in nota trascrivo dal Generini. (1)

Dirimpetto, sulla destra, l’alto muro si apre con una breve scalinata che porta alla via Giustinelli, il cuore della città armena con la diroccata, ormai, Chiesa dei Mechitaristi dove dentro, forse, c’è ancora qualche resto di quel capolavoro di organo fatto costruire a Vienna da Kugy e da lui suonato e lasciato, come da accordi, in eredità alla Chiesa.
Anche lì qualche mancanza di riguardo verso il preesistente, con la chiesa soffocata già in quegli anni da un palazzo sul davanti sicché l’accesso alla stessa divenne dal retro, cioè dall’abside, dalla parte della via Giustinelli.
Salire per il ciottolato e non divagare!
A destra, laddove la strada un po’ s’allarga, due case pregevoli. La prima al n. 11 con targa che dice che a costruirla fu l’arch. Drioli nel 1910 e quella poco più avanti, al n. 19, sorta 4 anni dopo per opera dell’arch. Fanna.
E ancora poco innanzi, sulla sinistra, l’edificio costruito dall’arch francese Jean Laborg oggi sede del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Trieste. Occupa l’edificio che era delle suore di Sion che negli anni ’70 lasciarono Trieste dopo quasi cent’anni di permanenza. Con la loro partenza anche il Collegio femminile che era solito ospitare le ragazze della Trieste-bene, fu chiuso.
Di fronte la villa Lazarovich piena di storia per essere stata dimora (saltuaria) di Massimiliano d’Austria prima che fosse pronto il castello di Miramare. Amante delle piante – come ben sappiamo – fece costruire un ampio giardino per metterci tutte le piante che portava dai suoi viaggi. Il giardino era privato ma anche pubblico, perchè due volte alla settimana era aperto a tutti.
Ci abitò anche Cassis Faraone (2), poi i Lazarovich che fecero ampie modifiche come ad esempio la costruzione dell’ originale torretta.
Prima della seconda guerra fu residenza anche di Pier Quarantotti Gambini
Uno degli ultimi proprietari, prima di altre ristrutturazioni e trasformazione in condominio, provvide a costruire quel tratto di strada in piano che dalla villa stessa arriva al vicolo delle Ville prima menzionato.
Erano anni nei quali se il Comune non poteva provvedere c’era qualche persona ricca che regalava dei terreni e vi faceva costruire strade. Gli anni erano altri.
Questo tratto finale ha fisionomia del tutto diversa per il colore e la luce. Il sole fa risaltare il rosso e il verde della casa che con il numero 25 segna la fine della strada salutando con un sorriso rilassato.

Nota 1
Tigor, vocabolo provinciale, usato particolarmente nell’Istria ad indicare un terreno elevato ed incolto ad uso di pascolo, come dev’essere stato in antico il colle …. rilevasi che sin dal 1364 questo colle e la strada che vi conduceva chiamavasi Tigoier o Tugurii.

Nota 2
Cassis Faraone è un emblematico ed interessante personaggio della Trieste alla fine del ‘700. Meriterebbe un articolo a parte. Concentro invece in poche righe la sua storia e chi ha interesse trova in internet ampi dettagli di questa persona.
Nato a Damasco era divenuto, stante la sua abilità negli affari, Ministro delle Finanze dell’Egitto. In questa posizione aveva grandi contatti con Venezia che reggeva le sorti dei mercati egiziani.
Ma ad un certo punto Cassis Faraone assieme alla sua famiglia si imbarca lasciando l’Egitto con destinazione Trieste dove le prospettive di affari e guadagni erano particolarmente alte.
Arriva dunque a Trieste un uomo ricchissimo. Affari leciti oppure fuggito dall’Egitto con tutta “la cassa” ?
Mai si saprà e molti sostengono che la seconda tesi sia stata messa in giro da Venezia che rimase molto seccata dal fatto che Cassis avesse scelto Trieste e non Venezia. Ma un uomo furbo come Cassis come poteva scegliere un astro cadente rispetto uno ascendente?
A Trieste infatti potè incrementare ancora le sue fortune.
Grato alla città fece costruire – acquistando da tale Tommasini terreno e progetto – il Teatro Comunale cioè il nostro Teatro Verdi. Passando davanti al Teatro non sarebbe male rammentare quest’uomo magari aiutati da una lapide commemoriativa …. se il Comune la mettesse.
Se ladro fu, fu ladro gentiluomo.
Ebbe tante residenze. Oltre la villa Lazarovich sua fu anche la villa Necker.
La sua tomba fa parte di quelle monumentali sotto il porticato delle grandi tombe nella parte nord del cimitero di Sant’Anna.

La mia Trieste, 13 Aprile 2016