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Case Mascheroni, via Tigor

Cinque sono le grandi case che formano il complesso costruito da Giovanni Mosco, un capo cantiere edile, da cui esse prendono nome, in via Tigor tra la via San Vito e la via Cereria.
A lui va ascritto il merito di aver cercato di mediare tra l’incarico ricevuto per questi grandi edifici dedicati ad abitazioni per la media borghesia triestina e la volontà di impreziosire facciate ed atrio con motivi artistici essenzialmente liberty ma che spaziano anche nel rinascimentale. Insomma un eclettismo discutibile, ma sicuramente mosso da buone volontà.
Anno 1908.


La più celebre è al n. 12, quella con i mascheroni da cui il nome corrente di casa Mascheroni.
Il portone in ferro battuto, ora rinforzato da una sottile rete anticolombi, lascia intravvedere – o meglio sembra invitare a vedere – le 4 coppie di  statue situate in nicchie, 4  da una parte e 4 dall’altra. A metà i due portoncini di ingresso delle due ali del palazzo. Le statue rappresentano le stagioni. Affreschi, cornici di fiori, teste, un passaggio con le balaustre in ferro battuto tra le due ali della casa completano questo atrio la cui progettazione sembra da attribuirsi al figlio del Mosco che aveva studiato all’accademia di Milano.
Ed in fondo al portone si vede il giardino o meglio ciò che di esso è rimasto dopo la costruzione della casa attorno a lui. In esso ormai seminascosto dalla vegetazione un piccolo gruppo di 2 statue raffiguranti due bambini. Si parla anche di un Sant’ Antonio, ma che io non ho veduto.
In questo portone vennero girate delle scene del film “Senilità” di Bolognini con Claudia Cardinale ancora agli inizi della sua carriera. Era il 1961.
Gli assenti raggi del sole, il normale degrado degli affreschi nel portone, la nera cancellata, le statue che mostrano vistosi i segni del tempo (1), danno – o mi danno – quel senso di malinconia di cui un po’ tutta la via è intrisa.


Sara, la mamma di Luisa, in queste case la colloca Claudio Magris nel suo romanzo “Non luogo a procedere” – potente j’accuse di cui qualche cenno nel futuro articolo su Enriquez. Fatti veri e personaggi inventati come Luisa che è l’impiegata incaricata di preparare le stanze del Museo Enriquez  (ahhh fosse stata data per davvero a lei la progettazione del museo….!). Sua madre Sara che lavorava per il GMA (Governo Militare Alleato) fu una sera accompagnata a casa – in via Tigor – da un ufficiale americano. Nacque Luisa.
La potente prosa di Magris pennella di soffusa tristezza la vita solitaria di Luisa nel suo appartamento in via Tigor e quella della sfortunata madre Sara che, dopo pochi anni, perse, in un incidente d’aereo, l’amato marito e padre di Luisa.
Non certo un caso la scelta di Magris di collocare in queste case di questa via la vita non allegra di queste due donne.

Nota 1
Le statue non sono in pietra bensì di un impasto di cemento con un’anima di ferro dentro.

La mia Trieste, 10 Aprile 2016