Pensavo fossero solo miei fantasmi. Poi li ho trovati nel libro-capolavoro di Claudio Magris “Non luogo a procedere”, allora no, non sono solo miei fantasmi. Hanno un corpo fisico. Ci sono, si possono toccare. La Risiera (1) è lì, la vedi, la tocchi, ci entri per chi vuol entrarci.
Io no.
Gli amici che vengono a trovarmi da lontano – ma tutto è lontano da Trieste – li lascio davanti la porta d’ingresso della Risiera ad imboccare quel lungo corridoio che già esso, da solo, dà angoscia.
“Ma tu non vieni ?”
“No l’ho già visto questo luogo, vi aspetto qui dietro”.
Il piazzale tra la Risiera e quel grande emporio di idraulica mi ha visto varie volte in paziente attesa.
Fino al loro ritorno per condividere impressioni, emozioni, pensieri ???
No, il mio discorso punta dritto alla prossima tappa del giro in giro per la città.
Qualche tentativo andato decisamente male li fa desistere ben presto.
Non parlo volentieri di orrori. Ma l’orrore non è la Risiera.
L’orrore è che a Trieste, città dai mille pregi di civiltà, possa essere nato l’unico forno crematorio in Italia.
L’orrore sta nei perché qui abbia trovato terreno fertile per nascere e vivere.
L’orrore è l’aver cercato di seppellire nella dimenticanza questa realtà. E l’operazione stava riuscendo perfettamente se non ci fosse stato quell’omino – Diego De Enriquez – a rompere i piani di chi voleva che della Risiera non se ne parlasse. Bruciati i morti e bruciato anche il ricordo. E con esso precise responsabilità.
E questo è ripugnante.
Ai miei amici, quando andiamo al Museo che faticosissimamente è sorto per dare seppur un minimo spazio alla sua collezione, racconto di quest’uomo – Enriquez – e la Risiera trova, a questo punto, inevitabilmente il suo spazio di parole che prima non aveva avuto.
Solo parlando di Lui si può capire la Risiera che altrimenti resta un insieme di mattoni, nomi, celle, luci, targhe misti a pietà, commozione, rabbia, perdono, indignazione a seconda del modo di reagire di ognuno.
Perché dovrei sporcarmi le mani di cacca, sì perché a parlar di cacca si finisce inevitabilmente per sentire come minimo nelle narici la sua puzza.
Grazie Magris per avermi fornito giustificazione e alibi al mio rifiuto. (2)
La Risiera la devo dimenticare. O scrivere il meno possibile. Anche di foto qui ce n’è una sola e in bianco e nero.
Questo sito si chiama “lamiatrieste” e la Risiera è anche Trieste. E Trieste è anche la Risiera, macchina concepita dentro la filosofia nazista, ma che a Trieste, senza l’apporto di tanti triestini, non sarebbe stata tale.
Voglio continuare ad amare Trieste e i triestini anche a dispetto della Risiera.
Voglio continuare ad amare Trieste e i triestini anche a dispetto delle foibe che mai si sarebbero riempite così tanto se …
Anche con i “se” qualche volta si fa la storia.
Nota 1
dal sito www.risierasansabba.it trascrivo alcuni brani della descrizione della Risiera
Il grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso – costruito nel 1898 nel periferico rione di San Sabba – venne dapprima utilizzato dall’occupatore nazista come campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 (Stalag 339). Verso la fine di ottobre, esso venne strutturato come Polizeihaftlager (Campo di detenzione di polizia), destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni razziati, sia alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei.
…. omississ …
Dopo essersi serviti, nel periodo gennaio – marzo 1944, dell’impianto del preesistente essicatoio, i nazisti lo trasformarono in forno crematorio, in grado di incenerire un numero maggiore di cadaveri, secondo il progetto dell’”esperto” Erwin Lambert, che già aveva costruito forni crematori in alcuni campi di sterminio nazisti in Polonia. Questa nuova struttura venne collaudata il 4 aprile 1944, con la cremazione di settanta cadaveri di ostaggi fucilati il giorno prima nel poligono di tiro di Opicina.
L’edificio del forno crematorio e la connessa ciminiera vennero distrutti con la dinamite dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, per eliminare le prove dei loro crimini, secondo la prassi seguita in altri campi al momento del loro abbandono.
…. omississ …
Calcoli effettuati sulla scorta delle testimonianze danno una cifra tra le tre e le cinquemila persone soppresse in Risiera. Ma in numero ben maggiore sono stati i prigionieri e i ”rastrellati” passati dalla Risiera e da lì smistati nei lager o al lavoro obbligatorio.
Nota 2
Il libro cui qui si fa riferimento è “Non luogo a procedere”, Claudio Magris, 2015, Garzanti Editore.
E’ il 1974 quando lo studioso e ricercatore Diego de Enriquez muore nel rogo del suo magazzino dove lui dormiva in compagnia di una piccola parte dei cimeli di guerra da lui raccolti e di tante carte – diari – su cui annotava tutto ciò che gli pareva di un certo interesse storico.
Quando la Risiera non era ancora … “La” Risiera e di essa nessuno se ne curava, Diego De Enriquez iniziò ad andarci e annotare tutto ciò che vedeva.
Tra le annotazioni anche scritte ritrovate nelle celle con dei nomi di illustri triestini.
Cosa ci facevano lì quei nomi?
Atti di accusa ben presto cancellati dalla calce.
Atti di accusa annotati su diari che in quella notte dell’incendio misteriosamente sparirono mentre altri diari no.
Il pronto intervento dei Vigli del Fuoco, la cui caserma poco distava da quel magazzino, avevano salvato molto, ma non ciò che non era bruciato ma sparito nel nulla.
Le indagini a nulla approdarono (ma in molti sono a parlare di fiacchezza nella ricerca della verità) e due anni dopo un non luogo a procedere nel processo contro i responsabili dei crimini avvenuti alla Risiera.
E’ il periodo di stragi di matrice nera come – per parlare del nostro territorio – quella di Peteano.
Anni brutti dove distinguere chi lavora per lo Stato e la sua sicurezza e chi è contro talvolta è impossibile.
Da quel processo e da Diego De Enriquez con sua morte per assassinio, la città prende coscienza della Risiera. Più che presa di coscienza è una scoperta.
Il libro di Magris, che da questi fatti prende spunto per un romanzo che è anche saggio, è un potentissimo J’accuse contro quella parte della città che ha collaborato, favorito e poi cercato di far dimenticare tutto.
Illustri e note persone di famiglie della Trieste-bene con risciaquati i panni sporchi, ma con qualche scheletro nell’armadio. O meglio su qualche muro di qualche cella e poi su carte scribacchiate da un ficcanaso.
Meglio far sparire ogni scheletro così come la Risiera sapeva ben fare.