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L’Ippodromo di Montebello

In primis nell’antica Grecia, poi nell’antica Roma, poi in età bizantina a Costantinopoli.
Come le origini del nome dicono,  il concetto di ippodromo nasce – seppure in forma di un semplice spazio erboso – proprio in Grecia ( ippos = cavallo; dromos = corsa) come luogo per la corsa di carri trainati da cavalli.
Corse di cavalli specie in occasione di feste religiose anche tra gli Etruschi.
Bighe, trighe, quadrighe – per dirla con termini romani – a seconda del numero di cavalli a trainare il carro sul quale coraggiosissimi aurighi tenevano le redini.(1)
A Roma 2000 anni fa il Circo Massimo (329 a.C.) come ippodromo capace di 250 mila spettatori. Ben più del più moderno campo di calcio dei tempi attuali.
A Trieste 2000 anni dopo l’Ippodromo di Montebello con spazio per 8 mila spettatori. (1/30 rispetto il Circo Massimo)
Volendo essere scherzosamente precisi tra le nascite delle due costruzioni ci sono 2221 anni.
Montebello –   l’ippodromo spesso è semplicemente detto “Montebello” tanto esso caratterizza(va) il rione dove si trova –  vede infatti la prima corsa nel 1892.

Anche qui, come per tante iniziative della nostra vecchia Trieste, il sostegno dei privati è determinante per dare una degna cornice a quelle sfide che appassionati di cavalli organizzavano “alla buona” in posti come nella zona di Zaule oppure dietro il Municipio o nel piazzale della Caserma Grande (Piazza Oberdan) .
E’ così che l’avvocato Antonio De Volpi (2) appassionato di cavalli costituisce nel 1890 una società, la “Società delle Corse di Trieste” ed alla presidenza c’è il barone Marco de Morpurgo.
In tempi in cui in 2 anni si faceva quanto oggi in 20, la Società delle Corse individuò nella zona ancora tutta verde di Montebello il terreno giusto per costruire l’ippodromo. Venne acquistato il terreno che era di proprietà della contessa Teresa della Torre – Hohenlohe di Duino. La via Rossetti che terminava all’incrocio con la via dell’Eremo (ossia poco più avanti del Sanatorio Triestino) iniziò ad essere allungata fino all’Ippodromo con la cessione a titolo gratuito dei vari proprietari dei terreni interessati. Anche il Comune fece la sua parte con un contributo.
L’arch. Ruggero Berlam progettò e realizzò.
Tutto questo in 2 anni!
Il Piccolo dell’ 1 settembre 1892 dice che il complesso sportivo era stato realizzato con “una velocità tutta americana” e che il merito andava al gruppo di appassionati ed in particolar modo a Antonio De Volpi e a Rodolfo Brunner (3 ) che aveva realizzato il totalizzatore con denaro proprio.

Peccato che io non c’ero e neppure nessuno di voi, quel giorno del 4 settembre 1892. Sicuramente qualche nostro bisnonno o trisnonno ci sarà stato tra i 15 mila che nonostante il pessimo tempo andarono all’inaugurazione.
Per dare ragione quasi 100 anni dopo a Carpinteri e Faraguna con il loro “l’Austria era un Paese ordinato” il Comune organizzò tutto alla perfezione. Per i turisti una campagna di sconti e convenzioni negli alberghi della città che registrarono il “tutto esaurito”; servizio continuo di trasporto con omnibus a cavalli dal centro all’Ippodromo; zone delimitate per il parcheggio delle carrozze dei “signori”; vigili a multare chi non era ordinato.
Una giornata che le cronache del tempo dicono “memorabile”.
La terza gara della giornata che è dedicata ai dilettanti vede nomi illustri per la città di Trieste come Carlo Fontana, Edoardo Pessi e lo stesso Antonio de Volpi.

In breve l’ippodromo di Trieste diviene un punto preciso di riferimento per la nascente ippica.
E Trieste è stata tra le prime città in Italia ad avere un ippodromo. Preceduta da Torino; forse contemporanea a Milano così come contemporanea a Vienna,  ma qui le notizie sono incerte e contraddittorie. (4)
Questo grande successo porta nel 1905 a lavori di miglioramento specie per le tribune, il totalizzatore ed un buffet. Architetto fu Johann Eustacchio.
Con grande solennità nel settembre 1906 si inaugura la nuova stagione di corse.
Ancora sul Piccolo si legge “L’ippodromo non sembra più quello di prima. Ora fa un’ottima impressione coi nuovi eleganti padiglioni delle tribune, nel cui centro si eleva la terrazza col bel chiosco del buffet. L’Ippodromo di Montebello, che verun altro può superarlo per posizione amena e pittoresca, offriva ieri uno spettacolo grandioso …”

La guerra non poteva non avere riflessi anche sull’ippodromo. Le corse dal 1914 furono sospese e le scuderie adibite ad uso militare per la cavalleria austriaca.
Il 1919 registra all’Ippodromo una grande manifestazione in onore della III Armata vittoriosa. Ma per vedere la prima corsa si deve attendere ancora.
Esse riprendono nel maggio del 1922 con una grande giornata alla presenza del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena a conferma della importanza che l’Ippodromo aveva nel tessuto sociale della città.

Alla seconda guerra mondiale – che anch’essa interrompe ogni gara sportiva – si arriva con alcune tappe importanti. Nel 1937 la “Società delle Corse di Trieste” chiude e la gestione è assunta direttamente dal Comune fino al 1939 quando poi nasce la “Società Triestina Trotto.”
La ripresa delle corse dopo il conflitto è difficile e qui si distingue per impegno e tenacia Giorgio Jegher, un manager capace, appassionato di cavalli e lui stesso ogni tanto con le redini in mano seduto su un sulky con davanti un cavallo delle sue scuderie.
Per molti anni in nome di Giorgio Jegher fu legato alle sorti dell’ippodromo e dopo la sua morte il fratello Riccardo prese il suo posto.
Nel 1955 ancora una pausa nelle corse, ma questa volta non per eventi traumatici bensì per abbellire l’Ippodromo con un radicale restyling.
Complice gradita la bora che scoperchiò parte del tetto delle tribune in legno, fu avviata tempestiva costruzione di una tribuna in muratura per 3000 persone a sedere; la costruzione di un edificio ad uso bar e ristorante; un nuovo impianto di illuminazione; allargato il rettilineo opposto a quello delle tribune; miglioramento delle scuderie.
Il progetto a cura dell’arch. Boico (5)
Nel novembre 1955 mons Antonio Santin benedice la prima corsa nel rinnovato ippodromo.
La Settimana Incom riprende l’evento (6)

Nel dopoguerra ogni tanto a Montebello anche qualche volto noto a tutti. Per esempio Mike Bongiorno, Nino Benvenuti, il soprano Anna Moffo, il comico Macario, il radiocronista delle corse ippiche Alberto Giubilo, un mostro di conoscenze sui cavalli snocciolate con disinvoltura senza ausilio di appunti.
Fra le celebrità venute a Montebello anche Tornese. Non una persona, ma un cavallo di valore internazionale che raramente perdeva qualche corsa. Ma una ne perse proprio a Trieste fra le 6 trasferte nella nostra città. Ma colpa non sua bensì del driver che al penultimo girò pensò che quello fosse l’ultimo.
Sono gli anni dei grandi driver come Belladonna, Quadri, Brighenti. Nomi celebri nell’ippica triestina e che io ho nella memoria per averli così tante volte sentiti quando accompagnavo mio padre alle corse.
La gente nello scegliere su chi puntare la scommessa teneva conto di cavallo, ma anche del driver perchè con certi abbinamenti la vincita diventava molto probabile.

La pista – una delle poche in Italia – è con le curve sopraelevate. In questo modo la velocità sviluppabile è decisamente maggiore che non nelle piste con curve normali.
Questo aspetto della velocità ha talvolta – e tuttora – messo in difficoltà certi cavalli abituati a gareggiare sugli altri ippodromi e che si spaventano per la velocità in curva e specie all’uscita dalla curva.
Dunque a Trieste un ottimo impianto per le tribune, per i servizi e per la pista scorrevole e veloce che consente buoni tempi sul chilometro.
A metà anni ‘60 altre nuvole sull’Ippodromo con Giorgio Jegher ancora in primo piano a cercare difficili mediazioni tra gli interessi dell’Unire (l’ente romano per i totalizzatori), il Comune e la società gerente l’Ippodromo.

A Montebello cavalli, ma non solo cavalli.
L’ippodromo ha vissuto lunghe pagine di motociclismo ed alcune di ciclismo tra cui una di rara potenza.
Il giro d’Italia è arrivato varie volte a Trieste ed a giugno 1966, in un giro vinto da Motta, l’arrivo è stato dentro l’ippodromo con la vittoria di Bariviera. Un arrivo di tappa contestato giustamente dai corridori perché disputare una volata su un terreno dove le ruote delle bici affondano anche 10 cm è impresa ardua (7).
Ma la pagina memorabile del ciclismo a Montebello è stata scritta con il rinato (dopo la guerra) Giro d’Italia del 1946 che volle toccare tutte le regioni d’Italia e non poteva mancare un arrivo a Trieste.
Anche l’anno dopo la prima guerra il giro del 1919 ebbe una tappa a Trieste vinta da Girardengo e quella fu tappa tranquilla ben diversamente da quella del 1946 dove pietre e colpi di fucile da parte di filo-titini fermarono il giro a Pieris. Il triestino Cottur non volle arrendersi e con la sua squadra più qualche altro corridore ( in totale 17) volle continuare in tappa privata di ogni significato agonistico, ma piena e ricolma d’altro.
L’arrivo all’Ippodromo di Montebello fu tra due ali di folla plaudente. (8)

Ed a Montebello oltre le biciclette anche le 2 ruote motorizzate.
L’avventura delle moto su questo anello inizia nel 1928 e termina nel 1950.
Il particolare tipo di terreno dell’Ippodromo mal si adatta a corse di moto salvo si tratti di quella specialità nota con il nome di speedway o dirt track. (9) Nata in quegli anni e di moda anche ora sia per la spettacolarità sia come forma di allenamento per i piloti (10) per le gare tradizionali di moto.
A Trieste tutto è iniziato intorno al 1930 quando tale Toio Marama, un eccentrico personaggio, tornò da un viaggio in Australia con questa novità ed una moto speciale. Si può dire dunque che la moda delle gare speedway sia iniziata in Italia proprio dall’ippodromo di Montebello. (11)
In 20 anni e pur con la parentesi della guerra si ebbero 25 appuntamenti – di cui 15 prima della guerra – con molte gare in ogni riunione e non solo di speedway, ma anche moto normali comprese gare con i primi modelli di Lambrette.
La convivenza tra moto e cavalli andò deteriorandosi progressivamente perché lo spazio lasciato dalle gare di cavalli era molto ristretto e non consentiva i tempi necessari per gli allenamenti né per le messe a punto delle moto. (12)
Qualcuno dice (13) che nel divorzio ci fosse anche la gelosia della Società delle Corse al Trotto per il grande successo di pubblico nelle gare di moto la cui affluenza arrivò a toccare le 18 mila persone.

Ma oggi 2016 cos’è l’Ippodromo di Montebello? (14) Ci sono ancora corse con cavalli in pista e pubblico nelle tribune?
Domanda che in molti si pongono a cominciare dal sottoscritto quando si è accinto a scrivere questo articolo.
La fotografia che si può fare oggi a Montebello è di un Ippodromo aperto ma che lavora con 1 sola riunione alla settimana fatta da 6 o 8 corse che mettono in pista mediamente 60/70 cavalli. Alcuni residenti nelle scuderie di Montebello ed altri che arrivano con i van dal Friuli, dal Veneto ed anche da Slovenia e Croazia.
Attualmente i cavalli residenti nei box dell’Ippodromo sono circa una quarantina e fanno capo a diverse scuderie.
Il pubblico c’è,  ma intorno alle 100 persone (a seconda delle stagioni e del tempo) e che entra del tutto gratuitamente. E del resto anche l’ingresso in una sala corse è gratuito e lì si può scommettere sugli stessi cavalli della stessa corsa che si svolge in concreto a Montebello. Per chi è interessato solo alle scommesse andare in una sala corse o all’ippodromo è dunque del tutto indifferente.

La crisi degli ippodromi inizia da lontano e il primo segnale è del 1970 quando la manovra economica varata dal governo taglia in modo forte i contributi per gli ippodromi. La reazione sono proteste e scioperi di tutto il comparto dell’ippica.
Oggi, come è noto, gli ippodromi chiudono e la loro sorte è segnata (15).
Oltre a quello che riporto in nota c’è un fatto oggettivo molto chiaro.
Il vero sostegno dell’ippica sono le scommesse. Un tempo chi voleva sfidare la sorte del gioco aveva a disposizione 3 chances: l’estrazione del lotto al sabato pomeriggio, la schedina del totocalcio alla domenica pomeriggio e le corse dei cavalli agli ippodromi.
Oggi l’offerta di sfide alla sorte è industria di Stato che ha riempito bar e ogni tabaccaio con mille prodotti.
Nelle sale corse nate per far scommettere i giocatori anche su gare che si svolgevano in altri ippodromi (e quindi aumentare il volume delle scommesse) sono confluite le scommesse di tutti gli altri giochi comprese le gare virtuali!! dei cavalli. Non dunque cavalli che corrono a Montebello piuttosto che ad Agnano o alle Padovanelle, bensì un programma di computer che simula delle competizioni.

A Horace McCoy rubo la frase “Non si uccidono così anche i cavalli ?” (16)

A Gabrovizza fino al 2012 c’era una delle scuole di equitazione di Trieste dove imparare a cavalcare sia per il piacere di fare passeggiate a cavallo sia per cimentarsi nei concorsi ippici.
Vicende che qui non interessano ha portato il sodalizio Alpe Adria a dover abbandonare il sito di Gabrovizza assieme ai cavalli delle loro scuderie e ad un piccolo museo di vecchie carrozze che oggi sono esposte nei locali delle tribune.
Il nuovo approdo è stato l’ippodromo di Montebello dove – come mostrano alcune foto – nel centro dell’anello è stata allestita la pista di allenamento della scuola.
Una felice sinergia siglata da un accordo del 2012 tra Alpe Adria e  la Nord-Est Ippodromi che gestisce Montebello.
Certamente questa iniziativa avrebbe bisogno di qualche ulteriore passo strutturale come uno spazio per un maneggio al coperto.
La collocazione di questa scuola nell’impianto di Montebello ha il grande pregio di trovarsi dentro la città e non sull’altipiano e di essere collegato al centro con mezzi pubblici. Ma ha lo svantaggio di non poter offrire passeggiate per boschi e prati a chi detiene un cavallo ed ama utilizzarlo in questo modo.
All’Alpe Adria dunque non solo i tradizionali corsi di equitazione, ma anche attività di ippoterapia a favore dei disabili e dei bambini portatori di handicap e d’estate settimane di stage per bambini dai 5 anni in su che hanno la possibilità di restare al maneggio per tutta la giornata.

Con questa nota positiva chiudo questa storia che – come ogni storia che ha più di cent’anni – ha luci e ombre ed è anche incrocio di tante altre storie.

Nota 1
Auriga = driver.

Coraggiosissimi” perché gli incidenti nelle competizioni nell’antica Roma erano la regola sia per le rotture dei carri sia per le scorrettezze dei contendenti. Scorrettezze non solo ammesse ma sperate dal pubblico ansioso di spettacoli forti.

Nota 2
Antonio De Volpi, di professione avvocato, nominato cavaliere per i suoi meriti. Come moglie ebbe Beatrice Bazzoni, figlia del Podestà Bazzoni. Nomi illustri che dunque si rincorrono.
Di Antonio De Volpi ci sono due quadri del pittore Alfredo Tominz – suo amico – oggi facenti parte della Collezione Kurlander visibile al Museo Revoltella. (Stanza gialla al secondo piano del Palazzo Revoltella)
Questi 2 quadri erano fino al 1997 nella villa Bazzoni e questo non deve stupire stante il vincolo di stretta parentela di cui ad inizio della presente nota.

Di entrambi i quadri abbiamo la sicurezza che ritraggono Antonio De Volpi perché in uno vi è l’iscrizione del nome e nell’altro il nome “Emma” che fu famosa trottatrice nella sua scuderia.
I due dipinti ritraggono una scena di trotto e l’altro di galoppo a testimonianza del suo amore profondo verso il cavallo.
Alla sua morte avvenuta nel 1910 fu intenzione del Gentlemen Drivers Club di Trieste di ricordarlo con un busto. L’incarico fu dato allo scultore Nassiguerra che quando lo fece era agli esordi della sua carriera.

Di questo busto si è persa ogni traccia e pure dei due bassorilievi per la parte alta del piedistallo. Ma che questo busto sia esistito e non solo un bozzetto o un disegno è comprovato da quanto si trova nella “Rivista Mensile della città di Trieste” del maggio 1930.
Gualtiero Nassiguerra un giorno si sentì chiamato ad eseguire un lavoro per commissione. Era una sorpresa per l’artista che fino allora aveva lavorato per sé. Si trattava di scolpire un busto in marmo del cav. Antonio De Volpi, per il Club dei Gentlemen Drivers di Trieste. L’opera, piena di vita, sorprese quanti la videro: ignorando il nome dell’autore, chi vedeva quel busto, diceva, ammirandolo ”si vede lo scalpello di …”( e nominava l’uno o l’altro dei più noti artisti triestini. Il nome di Gualtiero Nassiguerra era fino allora quasi ignorato)
Ma da allora cominciò ad essere meglio conosciuto.”

Questo busto con relativi bassorilievi di cui esiste copia in un disegno, non va confuso con il medaglione più due bassorilievi laterali che si trova in posto remoto e nascosto su un muro interno dell’Ippodromo.

Anche quest’opera fu commissionata dal Club dei Gentlemen Drivers di Trieste e reca la data del 1912, ossia 2 anni dopo la morte del De Volpi.

Nota 3
La storia della ricchissima ed importante famiglia Brunner è emblematica dentro le vicende delle lacerazioni nel tessuto sociale del nostro inizio novecento.
Rodolfo Brunner assieme al fratello Filippo porta avanti le attività di famiglia. Egli sposa Regina Segré sorella di Salvatore Segrè, grande e fervente irredentista.
Rodolfo è invece un filo-austriaco a tal punto da essere un finanziatore dell’ esercito austriaco.
Due cognati divisi in maniera netta ed in mezzo Regina Segrè divisa tra l’amore per il marito e quello verso il fratello.
Ma il dramma vero lo porta il figlio Guido dell’austrofilo Rodolfo.
Egli è convintissimo irredentista a tal punto che – sordo agli appelli del padre – si arruola nell’esercito italiano.
Catturato dagli austriaci è condannato a morte, ma il padre, stante la sua fede austriaca, riesce a farlo graziare.
Riavuto il figlio e fedele all’impegno preso con chi ha graziato il figlio, lo porta in Toscana, lontano dai fronti di guerra, ma Guido scappa e si arruola nuovamente restando ucciso sul fronte di guerra.

La famiglia Brunner, nonostante queste lacerazioni, resta unita a tal punto che ancora oggi i componenti – compresi tutti i vari rami che nel corso di più di un secolo si sono aggiunti – si ritrovano periodicamente a Trieste, giungendo da tutte le parti del mondo, per una conviviale “riunione di famiglia”.

Nota 4
A seconda delle fonti per l’ippodromo di Milano troviamo la data del 1888, ma anche dell’ottobre 1892 ossia un mese dopo quello di Trieste.
Incertezza anche per Vienna per la quale si parla del 1913, ma altrove del 1878.

Nota 5
L’arch. Romano Boico ha lavorato dal dopoguerra fino verso la metà anni ‘80.
Volendo sintetizzare il suo lavoro si possono individuare alcuni filoni e poi la sua opera summa:
– arredamento navale con la progettazione degli interni delle più prestigiose navi varate dai nostri cantieri
– palazzi pubblici e privati quali: palazzo comunale dell’anagrafe; palazzo Inam; palazzo magazzino Upim di Barriera; Clinica Salus; tribune Ippodromo.
– ville di prestigio nella baia di Duino e sull’altipiano

Ma la sua opera più importante è la trasformazione della Risiera di San Sabba in Monumento Nazionale. Qui grazie alla sua grande sensibilità e umanità ha interpretato con l’essenzialità il dramma del posto.

Nota 6
Nei cinema di prima categoria prima della rappresentazione del film dal 1946 al 1965 andava sullo schermo la “ Settimana Incom”. Ossia un cinegiornale di circa 10 minuti che faceva una carrellata su fatti di cronaca della settimana. Eventi di cronaca mondana e culturale. Sempre con un taglio positivo. Si era nel pieno sviluppo e ricostruzione dell’Italia e la Settimana Incom molto filogovernativa e quindi di chiara ispirazione democristiana dava enfasi e spazio all’immagine di un’Italia lavorativa e dinamica. Come lo era per davvero.

Nota 7
Quel giorno ero sul prato interno proprio in corrispondenza dell’ingresso all’ippodromo e quante bestemmie ho sentito in quell’occasione e fra i tanti un Giglioli scatenato ad imprecare contro gli organizzatori. Entrati infatti sull’anello le bici dei corridori si fermarono impantanate nella sabbia.
Prima dell’arrivo del giro d’Italia, per intrattenere il pubblico, venne disputata una gara della categoria esordienti vinta dal cividalese Cont e dove il nostro Paolo Giorgietti della Bartali Rovis di Trieste (allenato dal sottoscritto) giunse quarto.

Nota 8
Di quella giornata memorabile esiste l’articolo scritto di getto da Bruno Roghi, direttore della Gazzetta dello Sport uscita l’ 1 luglio 1946. Così egli conclude l’articolo:
I giardini di Trieste non hanno più fiori.
Le campane di Trieste non hanno più suoni.
Le bandiere di Trieste non hanno più palpiti.
Le labbra di Trieste non hanno più baci.
I fiori, i palpiti, i suoni, i baci sono stati tutti donati al Giro d’Italia”

Quella giornata è anche raccontata da Roberto Degrassi in “Trieste in maglia rosa” Luglio Editore, anno 2014

Nota 9
Le gare che portano questo nome si corrono su circuiti ovali, terreno di sabbia o cenere o comunque miscele di elementi simili, moto senza freni e monomarcia.
Le curve si fanno in regolare sbandata controllata e la gamba sinistra (si corre sempre in senso antiorario) tesa fuori a controllare la sbandata.
Nei Paesi del nord la specialità è ice-speedway perché si corre su piste di ghiaccio.

Nota 10
Oggi ci sono circuiti motociclistici dedicati al solo speedway come a Lonigo o Badia Calavena, ma la principale scuola in Italia di questa specialità utilizza ippodromi come quello di Parma o di Cremona.
Valentino Rossi si è fatto costruire vicino casa una pista di speeway sulla quale si allena. Questo tipo di guida è faticosissimo e abitua a controllare alla perfezione la moto in curva

Nota 11
Ancora notizie inspiegabilmente inesatte girano per il web. Stupisce che sia proprio l’Ansa – ripresa poi da varie altre testate on line – a scrivere:

E’ morto all’ospedale di Udine l’imprenditore e motociclista Renzo Travagini, 82 anni, famoso per aver portato in Italia lo speedway nell’immediato dopoguerra. La morte è avvenuta per complicazioni cardiache, il 5 gennaio scorso. La prima gara di speedway organizzata da Travagini si svolse all’ippodromo di Trieste, a cominciare dagli anni ’50, con la partecipazione di corridori provenienti molti paesi dell’Europa dell’Est e dell’ex Jugoslavia. (ANSA). “

Nota 12
L’ultima gara è dell’agosto 1950 dove oltre alle speedway corse anche la categoria “motoleggere 125”. Nelle dirt-track il viennese Fritz Dirtl stabilì il primato di velocità sul giro alla media di 103,37 km/h. Una bella velocità su una pista di sabbia.
Nel 1951 e 52 ci furono dei tentativi di organizzare, ma non andarono a buon fine. Fine di una storia.

Nota 13
La voce è riportata in “Motociclismo a Trieste” di Franco Damiani di Vergata, Ed. Lint.
Colgo occasione per ringraziare l’autore dal cui libro ho attinto molte delle notizie qui riportate.

Nota 14
Tecnicamente così il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sulla pagina dedicata all’impianto dell’Ippodromo di Montebello lo descrive:

L’ippodromo di Montebello si trova alla periferia della città, con un’area complessiva di 85.000 mq, così ripartiti : 11.000 destinati al pubblico, 49.000 alla pista da corsa, 7.000 alle scuderie e 18.000 a svariati usi.
La pista da corsa, lunga 805,25 metri ad 1 metro dalla corda interna, ha una larghezza massima, in corrispondenza della parte finale della retta d’arrivo, di 17 metri e una pendenza compresa tra il 4,30 e il 6,20%. Il fondo pista è composto da stabilizzato carsico. Il manto sabbioso, spesso 1,5 cm, è costituito da sabbia fine durante la stagione estiva e da sabbia a maggior granulometria nel periodo invernale. Per un totale ricambio del manto occorrono 230 mc di materiale.
La pista è munita all’esterno di una recinzione metallo-plastica. La pista di allenamento, lunga 680 metri ad 1 metro dalla corda interna, è situata nella stessa area di quella da corsa. Un tondino a fondo sabbioso consente il passeggio dei cavalli. L’innaffiamento delle piste è assicurato da autobotte.
Il settore scuderie (237 box) comprende 18 sellerie, 15 magazzini, 2 mascalcie, una letamaia, servizio veterinario, ambulatorio veterinario, box di isolamento, alloggi e servizi per il personale, mensa, ristorante, bar e parcheggio riservato.
Il pubblico ha a sua disposizione uno spazio recintato, capace di ricevere 8.000 spettatori, di cui 2.700 in tribuna e 5.300 nel parterre. Nella stagione invernale la tribuna è riscaldata. All’esterno dell’ippodromo è presente un parcheggio con 300 posti macchina. Un ristorante, due bar, un servizio di pronto soccorso, un parco giochi per bambini completano la serie di servizi. L’ippodromo è attrezzato per lo svolgimento di corse in notturna. Cinque telecamere riprendono le corse e il pubblico può seguire le competizioni attraverso TV monitor. L’ippodromo è dotato di fotosprint e di 2 autostart.”

Nota 15
Repubblica 19 ottobre 2014 scrive:

Il settore ha prodotto per anni cavalli straordinari, facendo dell’allevamento dei purosangue una vera e propria industria di successo. Ora, dopo tagli ai fondi, incremento delle scommesse elettroniche, errori della politica e autogol di una categoria perennemente litigiosa, tutto il comparto versa in una crisi nerissima. Negli ultimi quattro anni ha chiuso il 35 per cento delle scuderie e sono andati in fumo duemila posti di lavoro. Fino al paradosso di interi centri prestigiosi svenduti su internet”

E prosegue:
“ … le colpe sono distribuite tra molti soggetti diversi e nell’arco di un periodo che copre un quindicennio: ministri che hanno elargito prebende, altri che hanno tagliato con l’accetta, ma anche un mondo equestre che ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità quando la politica ha finanziato a pioggia, per poi accorgersi (ma troppo tardi) che avrebbe dovuto camminare con le proprie gambe …”

Nota 16
Non si uccidono così anche i cavalli?” (They Shoot Horses, Don’t They?) è un film del 1969, diretto da Sydney Pollack e tratto dall’omonimo romanzo del 1935 di Horace McCoy, presentato fuori concorso al Festival di Cannes 1970

La mia Trieste, 22 Dicembre 2016