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Silos

Luogo di storia. Tutto è sempre storia e, se non tutto, tanto, a Trieste, è storia.
Il silos a guardarlo è un rudere di cui oggi si parla perchè dentro vi sono andati i c.d. migranti e allora si discute se possono o non possono, se devono o non devono stare lì.
Certo anche questo è un pezzettino di storia.

Trieste è in pieno sviluppo economico con industrie e commerci e siamo alla metà del 1800 quando viene fatta la Stazione Centrale con la ferrovia che la collega, tramite Vienna, al centro dell’Europa e accanto alla Stazione viene realizzato il Silos, immenso edificio a tre piani, utilizzando le appena scoperte tecniche in calcestruzzo.
Un corpo centrale sul davanti (quello che vediamo con il rosone) da cui partono dietro due lunghi corpi paralleli ed in mezzo un lungo spazio per binari dei treni merci – specie granaglie – che avevano dunque ivi deposito.
Silos come emblema (anche se uno dei tanti) di commercio e prosperità della città.

Da qui, dopo la sua decadenza come luogo di felice vita commerciale, nel dicembre 1943 partì il primo treno diretto alla “stazione” di Auschwitz che per la maggior parte dei passeggeri fu stazione di fine corsa.
Linea importante quella Trieste-Campi di sterminio perchè Trieste ha avuto un ruolo di primo piano anzi esclusivo con la Risiera, unico campo di sterminio in Italia, che faceva “spedizioni” anche in Germania e il Silos era il luogo di raccolta ultimo e partenza. Dal dicembre 1943 alla primavera 1945 centocinquantanove treni.
Trieste, la città scelta da Mussolini, per annunciare le leggi razziali.
Una targa sul muro a destra uscendo dalla zona dei binari della stazione (quindi dirimpetto al Silos) ricorda o tenta di farci ricordare.
Silos come stazione di partenza per la morte.

Dopo il Trattato di Parigi (1947) con la creazione di zona A e zona B, a Trieste iniziano ad arrivare dall’Istria e Dalmazia quelli che sono chiamati profughi.
Una triste storia piena di contraddizioni e malintesi.
Arrivano e vengono alloggiati al Silos in condizioni di grande precarietà. I campi profughi di Padriciano, San Sabba, Opicina e poi gli smistamenti in altre parti d’Italia saranno degli anni successivi e comunque il Silos resta, anche dopo, il luogo primo dove passare il primo periodo nella “ritrovata” Italia.
Claudio Magris e la scrittrice Madieri che fu moglie di Magris ne parlano in due loro rispettivi libri e la Madieri ebbe testimonianza diretta di questa realtà piena di disagi.
Il bellissimo lavoro di Cristicchi “ Magazzino 18” , che racconta una realtà di fatto inoppugnabile come lo è il contenuto del magazzino 18, non può non far sorgere la domanda: ma come mai questi italiani rimasti al di là di nuovi confini tracciati dai trattati di pace sono stati visti dagli italiani “di qua” come non-italiani?
Come intrusi, esattamente come io li vedevo quando ero piccolo e dire profugo era uno dei peggiori insulti che ci si potesse scambiare tra ragazzini. Uno era “tu mare putana” e l’altro era “profugo”.
Certo la parte comunista della città aveva tutto l’interesse a screditare queste persone per motivi che sono evidenti. Ma questa parte non era più di un 35 mila alle elezioni amministrative del 1952. Quindi ?
Non sono uno storico e non ho elementi di fatto per dire che …
… Che gli inglesi abbiano avuto ruolo non secondario in questa vicenda dove il “divide et impera” fu per loro pane quotidiano in tutta l’amministrazione della città molto più in mano a loro che non agli americani, quest’ultimi più impegnati nella ricostruzione, nel regalare ai bambini, graditissime, le gomme americane e cioccolatto Nestlè, ad amoreggiare con le più belle mule della città.
Gli inglesi invece.
Chiaro esempio fu la infausta gestione della polizia civile perlopiù composta da sloveni e che quindi non fece altro che acuire le tensioni tra italiani e sloveni.
Profughi contro italiani o meglio italiani contro profughi ed era un altra divisione comoda dentro quella politica.
Ed infine perchè scontentare Tito accogliendo bene anziché male queste persone invitate in tutti i modi a lasciare le loro case dell’Istria e della Dalmazia? Come dire …. se giustamente cacciati da lì voleva dire che erano persone poco di buono e se tali erano perchè accoglierle bene di qua?
Inglesi buoni studiosi del Macchiavelli.
Ero bambino, ma ho ancora nelle orecchie i fischi di tutta la città presente sulle rive alla partenza delle truppe inglesi e del loro generale.
Silos come posto di sofferto transito tra una guerra e la lontana normalizzazione.

La città cambia. Non c’è più l’Austria e nemmeno il boom italiano degli anni ’60 – ’80. Servono nuove idee. Qui cade l’asino.
I problemi più che occasioni per dimostrare capacità di trovare soluzioni sono occasioni per i politici di fare mostra di se stessi.
La questione Porto Vecchio insegna. E il Silos è lì attaccato, ma anche non lo fosse sarebbe uguale.
Nel luglio del 1981 il Silos passa dalle FFSS al Comune che lo acquista per 2 miliardi e 300 milioni per fare un grande parcheggio e una zona dove ospitare le bancarelle di Piazza Libertà. Appena nel 1994 i lavori progettati dagli arch. Tamaro e Semerani vanno in porto con il conseguente recupero della parte anteriore del Silos con la creazione del parcheggio, della stazione autocorriere (la vecchia stazione delle corriere nel frattempo è diventata Sala Tripcovich) e di una area commerciale particolarmente dimessa e triste. In essa cofluisce solo qualche ex ambulante di Piazza Libertà perchè nel frattempo il gran commercio con l’est è ricordo del passato.
Dunque solo la parte anteriore del Silos è stata ristrutturata mentre tutto il resto è rimasto nelle condizioni di cui alle foto del presente articolo. Foto scattate attendendo periodo di siccità perchè con le piogge il fango rendeva impossibile entrarci e scattate prima dell’arrivo dei c.d. migranti.
A gennaio del 2015 l’annuncio da parte del Comune di un progetto da 120 milioni di euro per la nuova struttura multifunzionale: Silos come polo congressuale, commerciale, alberghiero, del tempo libero ed ulteriori parcheggi.
Un po’ più in dettaglio stiamo parlando di parcheggi che tra coperti e scoperti valgono più di 800 posti auto.
Di un rifacimento della stazione per le corriere trasformandola in un vero terminal collegato al binario 1 della stazione ossia quello destinato alla TAV.
Un centro congressi con una grande sala da 1000 persone e due altre più piccole
Un centro commerciale con ristoranti, negozi, area fitness. Il tutto dentro spazi coperti in vetro a cielo aperto.
Un hotel cui è destinato tutto il lato mare e sempre sul lato mare zona per uffici
Al centro ossia nella parte scoperta tra le due ali del Silos vi sarà una piazza e giardino d’inverno, spazio adatto per ospitare spettacoli.
Meglio di così?
Giustamente il sindaco dice “una grande opportunità per la ripresa complessiva della città”
Questo progetto è dentro un accordo firmato dal Comune e la Soc. Silos spa.
Su documento on line della Design International che è capoprogetto dei lavori vedo timbro del Comune (Area pianificazione territoriale) dell’agosto 2009.
Da alcune parti trovo scritto che il termine lavori è previsto per fine 2017.
Forse un refuso di qualche distratta segretaria che ha scritto uno 0 al posto di un 1. Non 2017 ma 2117. Forse.
Oggi – gennaio 2016 – si discute solo se migranti si o migranti no.
Silos emblema non come il primo qui scritto, ma di una città con grandi difficoltà decisionali

La tristezza pervade tutti nel sapere o vedere persone aggirarsi come fantasmi tra quelle mura così solide, ma piene di varchi per far entrare meglio la bora ed un tetto che è come non ci fosse.
Qui arrivano perchè questa città è storicamente una porta.
Oggi Trieste la Lampedusa di terra. Una città di frontiera ed una “Identità di frontiera “ come recita il titolo del libro di Claudio Magris e Angelo Ara.
Con una differenza sostanziale rispetto il passato fatto da turchi, armeni, serbi, croati, greci, ungheresi ed una imprenditoria fatta da molti tedeschi. Tutta gente qui venuta per fermarsi e dunque, in qualche modo, integrarsi.
Sempre migrazioni, ma del tutto dissimili.
Porto di terra per lasciare vecchi panni nei boschi del Carso e farsi dare abiti nuovi ed il cellulare e poi andare e quando e dove non si sa.
In questo 2015 e inizio 2016 il fenomeno migranti nel Silos ha resistito a editti politici e interventi della polizia. Andranno quando decideranno di andare e saranno sostituiti da altri se altri decideranno di andarci.
Silos come emblema della impossibilità storica (incapacità?) di dare una regola, qui come altrove, a fenomeni destinati a cambiare molto della nostra Civiltà occidentale.

 

Ahhh caro e vecchio Silos. Il mio ricordo ad inizi anni ’60 sono una serie di piccole officine che occupavano la parte di sinistra e ricavate sotto i soffitti ad arco.
Qui vidi, ma senza minimamente capirne il valore, un vagone da guerra dei tedeschi. Era abbandonato su dei binari in fondo ad una officina/garage per speciali trattori che trainavano carri merci messi su appositi carrelli per portarli dalla stazione a qualche azienda. In quegli anni questi bestioni potevano circolare sulle strade non ancora strapiene ed erano ancora anni in cui le merci più di qualche volta sul treno ci salivano e non solo sui camion.
Caro e vecchio Silos. Storia e storia di mura sulle quali, per fortuna, il Ministero dei Beni Culturali ha messo il suo vincolo. Affinchè ogni (?) possibile ristrutturazione (?) costruisca, ma senza cancellare.

AGGIORNAMENTO   dic 2016

L’amico Gigi –  che ringrazio – mi ha regalato queste immagini da lui scattate il 7 aprile 1994 quando un forte incendio scoppiò nell’abbandonato silos finendo di demolire ciò che restava del tetto. Altri incendi ma di minore entità si sono sviluppati negli anni a seguire.

La mia Trieste, 4 Febbraio 2016