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Villa Haggiconsta

Più penso al nostro manicomio o meglio ex manicomio più sono convinto che gli dei dell’Olimpo assieme ai Numi tutelari dei matti abbiano voluto dimostrare, lì a San Giovanni, tutta la loro potenza facendo un miracolo, ma di quelli grandi che neppure Gesù – che di miracoli se ne intendeva – ci sarebbe riuscito.
Lì una immensa area ha potuto mantenere la sua fisionomia originaria ed è stata riconvertita, con assennati lavori di ristrutturazione, ad attività di pubblico interesse. Provincia, Comune, Università che si spartiscono l’area e lavorano assieme per il bene comune. Certo, con qualche contrasto, ma di non grande rilievo.
La realtà è sotto gli occhi di tutti e basta entrarci per quella porta – ora non più porta – di via San Cilino.
Porto vecchio, caserme di via Rossetti e via Cumano, area della fiera e la lista è lunga.
In questa ci metto dentro anche la mini realtà della villa Haggiconsta che se venisse un piccolo terremoto con epicentro sotto la villa, molti politici sarebbero contenti di poter recitare un sentito de profundis sulle macerie di questa villa ultracentenaria.

La villa la si vede meglio d’inverno guardando tra i rami spogli degli alberi del viale Romolo Gessi. Passato da pochi metri il bar e cinema Ariston andando verso Campo Marzio, sulla destra si intravvede la grande struttura di questa antica villa costruita dagli onnipresenti architetti Berlam sul finire del 1800 per tale sig. Haggiconsta, origine greco-russa e – ovvio – molto ricco.
Le carte raccontano poi i passaggi di proprietà di questa villa e il discorso si fa ben presto politico.
Dal sig. Haggiconsta che ivi aveva costruito perchè quelli erano terreni di proprietà della moglie, la villa passa ad altro proprietario che poi la cede (non so se a titolo oneroso o gratuito) al Comune che la regala all’Opera Nazionale Balilla. Siamo negli anni che tutti sanno.
Con la fine della guerra la villa rientra di proprietà del Comune che dopo un po’ la destina ad attività di assistenza ai profughi istriani e dalmati.
Scelta che può apparire strana se si pensa che la decisione fu presa nella metà degli anni ‘60 quando l’esodo era ormai terminato da tempo.
Le difficoltà di destinazione di questo edificio si leggono bene tra le righe di articoli e cronistorie sulla vita di questa villa.
Nei primi anni ‘70 essa passa dal Comune alla Regione che provvede ad un restauro, salvo poi ricederla al Comune in comodato d’uso per attività sociali.
Diventa così la sede del Centro di educazione attività motorie (Cem) facente parte dell’Aias (Associazione Italiana per l’Assistenza agli Spastici) che poi, nel 2008, deve lasciare la sede perché è prevista una ristrutturazione della villa. La ristrutturazione che doveva iniziare il giorno dopo non viene fatta, qualche politico promette “costruiremo lì un altro nuovo e grande centro per i disabili”. Nel frattempo tutte le strutture di proprietà del Cem sono cedute in comodato d’uso gratuito, qualcosa come le cucine vengono date ai Carabinieri e …. della sede per i disabili nessuno più ne parla.

L’Aias reclama e fa presente che formali impegni sottoscritti non sono stati mantenuti e di loro, negli ultimi atti formali tra Comune e Regione, non si fa neppure più cenno.
Con il passare del tempo lo stato della villa peggiora di anno in anno e soprattutto da inverno a inverno. Rotture di tubi, allagamenti, finestre rotte ed è così che la Regione – e siamo nel 2015 – dà 2 anni di tempo al Comune per effettuare la ristrutturazione promessa in modo da poi procedere al suo riutilizzo per attività sociali.
Qualcuno ha notizia di lavori non dico in corso, ma almeno programmati?

Attualmente alcune strutture di pertinenza della villa (la villa si compone di un edificio principale, parco, scuderia, rimessa, lavanderia, serre) sono usate da una società sportiva (il Sant’Andrea-San Vito) e da una associazione di scout (Amis).
Su qualche muro si vede ancora qualche dimenticata insegna “Aias”
La soluzione a ben guardare c’è e neppure troppo complicata, ma essa non dipende da Regione e Comune, – come molto ingenuamente qualcuno potrebbe pensare – bensì da chi, tra gli dei dell’Olimpo, si occupa di terremoti e non fa il suo dovere trascurando via Romolo Gessi.

L’edificio è imponente e con difficoltà io riesco a vederlo come una villa. Mi ricorda il Ferdinandeo che tutto è meno una villa.
Nei documenti del Comune leggo e trascrivo “ L’edificio principale, in stile eclettico con rimandi all’architettura italiana del Cinquecento, presenta una pianta ed una composizione dei volumi mosse ed asimmetriche, ma equilibrate nell’insieme. Sul lato principale si distinguono tre corpi in altezza decrescente con una torretta che domina il complesso”.

La mia Trieste, 1 Aprile 2016