/var/www/lamiatrieste.com/wp-content/themes/lamiatrieste/content.php

Piazza Oberdan

Piazza Oberdan che potrebbe essere anche piazza Oberdank – con una “k” finale – ed è anche quella semplice lettera una parte della storia di Trieste e delle sue contraddizioni.
Piazza Oberdan, una piazza strana, composita. Palazzi di varie epoche che hanno finito con il tempo, per noi triestini, ad amalgamarsi. Non so come la possa vedere un turista.
Piazza Oberdan è piazza Oberdan, luogo spesso di appuntamenti con le macchine in seconda fila e sguardo che certamente non va ai palazzi, quelli cui l’occhio curioso del turista invece va.

Ma piazza Oberdan non è meta per turisti perché l’unica cosa importante da vedere è chiusa. Il Museo del Risorgimento è chiuso perché un museo visitabile solo il martedì e su prenotazione si può dire di fatto non esistente per il turista che in Trieste viene per uno o al massimo due giorni.
Si potrebbe consolare il turista con l’ammirare la statua del Mascherini posta al centro della piazza sempre che essa fosse visibile stante le piante divenute alte e mai potate che la circondano. E sempre che un qualche cartello dicesse di chi è l’opera, citasse il nome dato dall’artista alla statua ed infine dicesse due parole di quella storia ivi avvenuta e che il Mascherini con la sua statua “Cantico dei Cantici” ha voluto ricordare. E la storia si può ricordare se qualcuno te la racconta. (1)

Una statua senza nome, senza autore, senza storia è solo un pezzo di pietra o di metallo.
E come tale spostabile in qualsiasi parte della città compresi i suoi magazzini.
Nell’articolo dedicato a Piazza Libertà molto dico a proposito dello spostamento di statue in Trieste in funzione del momento politico.
E la statua del Mascherini ha il suo significato in questa piazza perché ricorda un fatto qui avvenuto per mano dei nazisti e finora ha resistito ad ipotesi di trasloco portate avanti da giunte di centro destra.

E se le due statue – Oberdan di Attilio Selva dentro al chiuso Museo del Risorgimento e quella del Mascherini – quali pezzi di storia importante della città e testimonianza della sua ricorrente sofferenza, sono più o meno invisibili, bene mostra la sua presenza il tram di Opicina il cui capolinea da sempre  (1902) è nella piazza al di là della via Carducci.

Ahh, caro vecchio e amato e disgrazià tram – e forse perché così disgrazià tanto amato – a te dedicherò il giusto spazio, qui, tra non molto. Cosa potrò dire e mostrare di te che non sia stato già detto e mostrato, non lo so, ma qualcosa mi inventerò perché di ogni cosa amata c’è sempre qualche particolare ancora da scoprire, raccontare e, appunto, amare.

Nella toponomastica del tutto sconvolta dopo la prima guerra, uno dei primi cambiamenti (la delibera del Comune porta la data dell’ 11 novembre 1918, quindi 7 giorni dopo l’arrivo dell’Audace) fu da Piazza della Caserma a Piazza Oberdan. Non è difficile capire la motivazione di tanta fretta visto il significato storico della figura di Oberdan specie in quel momento.
Sì, lì c’era la Caserma Grande che era edificio fatto costruire da Maria Teresa poco dopo la metà del 1700 come Ospedale e a distanza di soli 15 anni destinato dal successore di Maria Teresa a guarnigione militare.
In questi lavori di costruzione prima e di riadattamento dopo, emersero – come ricorda il Generini – lapidi romane e da due di queste si deduce che quello, anche al tempo dei romani, era un posto militare (2).
Dalle vecchissime foto si vede che la caserma copriva proprio la parte a destra, nello scendere dalla attuale via Carducci, della piazza. E quando nel 1838 il torrente che scorreva dove ora c’è il nastro d’asfalto della via Carducci fu coperto, si ricavò spazio per una prima parte di piazza che veniva a trovarsi antistante la caserma. Su essa sorsero i primi palazzi, quello che ospita l’albergo Posta e quello con sotto la farmacia.
Di ciò ancora il Generini ci dà testimonianza (3)

Nel piazzale della caserma fu impiccato nel 1882 Guglielmo Oberdan figura sulla quale molto si è scritto, ma senza che vi sia una minima convergenza di giudizio su questa persona morta a soli 24 anni.
Uno sprovveduto entrato nella storia quasi per caso?
Un anarchico come tanti in quegli anni pieni di regicidi?
Un fervente irredentista anti-austriaco?
Un fervente irredentista anti-austriaco e anti-slavo?
Un illuminato uomo politico?

Non è qui luogo, né io sono uno storico. Qui basti breve traccia dove comunque emerge – a mio avviso – una figura complessa, spesso sfuggevole e che spiega i diversi giudizi su di lui.
Arruolato nell’esercito austriaco fu inviato in Bosnia dove rimase sconvolto dalle vicende belliche contro una popolazione slava.
Tornato a Trieste si imbarcò clandestinamente su una nave diretta ad Ancona e da lì proseguì verso Firenze dove visse dando lezioni private ed entrando in contatto con circoli di emigrati triestini ed irredentisti.
Saputo che l’imperatore Francesco Giuseppe sarebbe andato a Trieste per l’Esposizione organizzata nel cinquecentenario (1382 – 1882) della dedizione di Trieste all’Austria Oberdan partì alla volta del Friuli dove nei circoli irredentisti lanciò il suo proclama: ”Andiamo a compiere un atto solenne e importante. Solenne perché ci disponiamo al sacrificio. Importante perché darà i suoi frutti. Alla guerra giovani”.
E non aveva torto. Solenne fu perché l’attese la morte. Importante anche perché denso di frutti.

Buoni? Meno Buoni?
Di certo la sua figura verrà utilizzata dal fascismo per alimentare il nazionalismo italiano in contrapposizione agli slavi (4) ed in questo senso il suo gesto va ben oltre le sue intenzioni che erano quelle di cacciare l’Austria da Trieste.
Dunque un Oberdan non anti-slavo bensì solo anti-austriaco. Ma anche su questo punto vi è poca convergenza di giudizi specie perché la storiografia fascista e post-fascista non poteva lasciarsi sfuggire una figura così emblematica ed utilizzabile in funzione anti-slava. (5)
Tornando alle sue personali vicende Oberdan fu tradito da un finto irredentista, tale Fabris, e preso mentre arrivava da Monfalcone.
Resta misterioso un fatto di cui poco o nulla si è detto. La bomba lanciata – si presume da Oberdan – su una manifestazione di fautori dell’Austria. Morì un ragazzo di 15 anni che era lì per caso e molti furono i feriti.
Dopo questo gesto Oberdan si sarebbe rifugiato nella casa del garibaldino Giusto Muratti (cui è intitolata una via) che, indignato, lo fece riportare oltre confine.
E fino a qui abbiamo vagato senza molto ordine intorno alle prime quattro delle sopra riportate ipotesi.
Resta la quinta, quella di Oberdan attento uomo politico. Il prof. Silvio Rutteri riporta il parere del Carducci che in considerazione della difficoltà di uccidere l’Imperatore, Oberdan venne a Trieste non per uccidere, ma per essere ucciso. Rutteri dice: ”gettò il suo cadavere tra l’Italia e l’Austria”.

Insomma un Oberdan lungimirante che aveva tenuto conto dei precari equilibri a livello europeo. L’Italia infatti aveva stretto proprio nella primavera del 1882 alleanza con Germania e Austria formando la Triplice Alleanza dando così uno schiaffo a quelle che erano le aspirazioni irredentiste triestine.
Per reagire a questo schiaffo Oberdan avrebbe gettato il suo cadavere tra i due Stati.
Sulla lapide commemorativa i versi del Carducci recitano: “Guglielmo Oberdan / morto santamente per l’Italia / terrore, ammonimento, rimprovero / ai tiranni di dentro / ai vigliacchi di fuori.”
I tiranni di dentro sono ovviamente gli austriaci mentre i vigliacchi di fuori è allusione precisa ai governanti italiani che per convenienze di politica espansionistica (sta iniziando l’ era coloniale) decisero di preferire i buoni rapporti con l’Austria anziché pensare alla questione di Trieste.
Ma a questo proposito va tenuto presente che la popolazione triestina era sempre molto divisa tra le due opposte posizioni anti e pro Austria e forse gli irredentisti – termine coniato da Imbriani – erano una minoranza composta perlopiù da giovani. Le classi alte – media borghesia e imprenditorialità – dal distacco dall’Austria avevano tutto da perdere, come infatti successe. Ma va ancora detto che i cosiddetti fautori dell’Austria non si sentivano austriaci – come possa essere per le popolazioni di lingua tedesca dell’Alto Adige – ma italiani, usavano la lingua italiana, guardavano all’Italia come la patria di origine. Ma capivano che solo dentro l’impero austro-ungarico Trieste poteva avere un suo ruolo importante. La loro unica preoccupazione era quella di poter godere di una sempre crescente autonomia rispetto al governo di Vienna. Significativa a questo proposito la storia del Museo del Risorgimento di cui si fa cenno tra non molto parlando dei palazzi.
I giovani non si ponevano questi obiettivi e l’eredità dei moti in Italia del 1848 si faceva sentire a tal punto che la prima guerra mondiale fu da molti di loro vista come la quarta guerra di indipendenza.
Ed ancora nel 1878 dalla sua solitaria Caprera, Garibaldi scriveva: “Ai monti! Ai monti! La gioventù italiana non vi lascerà soli a combattere l’Austria”

Ma la domanda cattiva che fin qui sono riuscito ad evitare di porre e pormi: quanto in generale la città di Trieste ama Oberdan?
La mia impressione personalissima priva di ogni riscontro oggettivo e men che meno storico è che vi sia verso di lui un grande tepore privo di amorosi slanci, come sarebbe logico aspettarsi,  nei confronti di chi ha sacrificato la sua vita per quello che riteneva il bene della sua Trieste.
Pesa a mio avviso la difficoltà di mettere a fuoco questa figura e cosa realmente volesse. Il dubbio che fosse molto simile ad un anarchico è serpeggiante. Pensare che gli irredentisti triestini volessero macchiarsi di un omicidio è una forzatura quasi impossibile. Il pesante utilizzo da parte del fascismo di questa figura non giova alla sua popolarità.
Insomma una pluralità di possibili fattori.

Ed infine la riflessione che quel desiderio di omicidio e, trasformatosi di fatto in un suicidio, sia stato del tutto inutile è bene avvertito da tutti.
La prima guerra mondiale, con l’annientamento dell’Impero Austro-Ungarico e il passaggio di Trieste all’Italia, ha motivazioni che non transitano nemmeno lontanamente dalle parti di questa figura e nemmeno dalle parti degli irredentisti che furono semplicemente “usati” per motivare una guerra tra potenze europee per il riassetto di nuovi equilibri.
Oggi la città lo ricorda con un mausoleo non visibile al pubblico e con la sua prima tomba che si trova in luogo seminascosto nell’angolo basso a destra del Cimitero ex militare dove per 40 anni fu sepolto prima che la salma fosse traslata nel 1922 sotto il Museo del Risorgimento.
Sulla lapide con difficoltà si legge:

L’Austria / indarno qui nascondeva / la salma di / Guglielmo Oberdan / tenace amore fraterno / ne rintracciava / dopo il XL anno le ossa / per deporle nel sepolcro / degli eroi triestini / MCMXXII “

Brevi riflessioni di storia nel soffermarsi sul semplice nome dato ad una piazza.
Piazza che però è anche palazzi.
La semiluna verso il tribunale è caratterizzata da palazzi con i portici, che per Trieste rispetto molte città del nord, è rarità. Anzi sono gli unici assieme ai Portici di Chiozza e quelli sotto palazzo Georgiadis e palazzo Parisi in piazza Goldoni. Portici sulla semiluna che poi fuggono su entrambi i lati della via Giustiniano verso il tribunale.

Prendendo in considerazione la parte di semicerchio verso il tribunale il primo a sinistra, spalle al tribunale, è quello costruito per la RAS a metà anni ‘30 su progetto dell’arch. Nordio. Blocco squadrato di classica architettura di epoca fascista.
Sul documentato “Vie e piazze di Trieste moderna” di A. Trampus si dice che sulla la facciata che dà sulla via Carducci vi è un leone alato scolpito da Ugo Carà, ma io non vedo riscontro su alcuna facciata del palazzo.
Nel 1944-45 fu una delle sedi di comando delle truppe naziste.

Segue oltre la via Beccaria il palazzo verde (arch. Nordio) primissimi anni ‘30, prima sede di Radio Trieste,  poi sede della Telve, la società dei telefoni esistente a Trieste negli anni ’50 e ’60,  poi ancora sede della Sip e ora uno dei tanti palazzi fagocitati dalla macchina avida della Regione FVG.

Al di là della via Giustiniano (che è quella che porta al Tribunale) altro palazzo dedicato alla Regione FVG e sede del Consiglio Regionale. E’ l’ultimo ad essere costruito (1939) e architetto è sempre il Nordio.  Nasce per ospitare l’Ufficio del Lavoro.
Sarà ancora Nordio assieme all’arch. Cervi a ristrutturare il palazzo nel 1966 facendo così sparire il Teatro Nuovo – dedicato alla prosa – che aveva sede nella parte di palazzo lungo la via Giustiniano.
A destra dell’ingresso al palazzo vi è – come da foto – la scritta che spiega a tutti che ivi è la sede del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia. Giustamente in più lingue: italiano, tedesco, slavo e … friulano. Un ottimo omaggio ai rapporti di forza in dispregio della logica.

L’edificio che ospita il Museo del Risorgimento è del 1929 e nasce come Casa del Combattente e ivi fu posta la sede dei giovani balilla. Sotto vi è la cella di Oberdan e la statua realizzata da Attilio Selva. Questa è l’unica parte ancora esistente della Caserma Grande di cui si è detto.
L’alta torre in mattoni è stata aggiunta anni dopo.
Durante l’occupazione nazista il Museo fu svuotato per fare posto alla Todt (6)
Ma l’aspetto più interessante di questo Museo del Risorgimento è la sua origine che parte già, embrionalmente, nel 1910 con le carte ed i cimeli delle guerre di indipendenza raccolte da Filippo Zamboni (giusto dunque ricordarlo con un busto nel Giardino Pubblico) e poste in quello che si chiamava , già in quegli anni di “dominazione austriaca” , Museo cittadino di Storia Patria con la sua sezione dedicata al Risorgimento italiano.
Inizialmente con sede a villa Basevi ai piedi del colle di san Vito.
Ecco un chiaro esempio di come il governo di Vienna chiudesse spesso non uno ma due occhi su espressioni di italianità della cultura triestina. E come le persone di cultura –
non necessariamente irredentisti – curassero i vincoli che la legavano all’Italia. (7)
Il Museo fu ovviamente chiuso durante la guerra e riaperse i battenti nel 1922.
(8)

Ritornando più specificamente alla Casa del Combattente, dopo la seconda guerra, l’edificio fu occupato dalle forze anglo americane e solo nel 1954 tornò alla sua funzione di museo

Chiude il semicerchio della piazza il palazzo eretto per l’INA nel 1929. Sotto l’Harry’s bar, meta di molti.

Oltrepassata la via Carducci, guardando il capolinea del tram, sulladestra sorge il palazzo chiamato Arrigoni-Saima perché ivi ebbero sede queste due società, prima la Saima-spedizioni dal momento della costruzione (1925) e poi l’Arrigoni.
Facciata molto ricca, ma non quanto il dirimpettaio palazzo Vianello. Sopra al tetto la prima scultura del Mascherini intitolata “La Romanità”.

Dietro il capolinea la parte più vecchia della piazza che risale alla prima parte dell’800 con la casa costruita dall’arch. Pertsch per Isacco Guetta e divenuta nel 1930 albergo e tutt’ora con il nome di Albergo Posta.
L’edificio riportò vari danni alla fine della seconda guerra mondiale.

Attaccato, sulla sinistra, vi è casa Czorzy realizzata dall’arch. de Puppi. Il suo angolo tondo ricorda la soluzione architettonica usata dal Pertsch per Casa Pancera in via San Michele e sarà soluzione che il de Puppi userà altre due volte, la casa angolo Tarabocchia-Slataper e la casa angolo via San Maurizio – Piazza dell’Ospitale.
Sul tetto 4 statue di figure femminili.
Sotto la farmacia comunale “Al Cedro” (9)

Ed Infine il pezzo forte della piazza Oberdan, il palazzo Vianello che è sull’angolo con la via Carducci e la via XXX Ottobre.
Nei primissimi anni dello scorso secolo (1903) Leopoldo Vianello – un ricco commerciante proprietario di una casa di spedizioni, presidente di una importante banca triestina e naturalmente grande benefattore – fece progettare a Ruggero Berlam il palazzo la cui costruzione durò quasi un decennio a causa del terreno con inaspettate derivazioni del torrente Kluc – coperto nel 1838 – che scorreva sotto la via Carducci e che a quel tempo si chiamava proprio via del Torrente.
La facciata del palazzo risulta particolarmente ricca per le colonne, le statue, i bassorilievi ed il tetto è arricchito da un Leone alato tra due obelischi opera dello scultore G. Marin,  ivi collocato in epoca successiva alla costruzione del palazzo.

 

Nota 1
Mauro Covacich in “Trieste sottosopra” scrive: “Pino Robusti ha 22 anni quando la mattina del 19 marzo 1945, sta aspettando la fidanzata sul lato esposto al sole di piazza Oberdan. E’ il primo sole di primavera. I profili degli alberi sono sbalzati nella trasparenza dell’aria in un modo che fa venir voglia di saltare, di ballare. Chissà magari Pino sta fischiettando. Dal tram lì di fronte – il celebre tram di Opicina – scende un sacco di gente, ma Laura non c’è ancora. Intanto sfila lenta una pattuglia della polizia tedesca, nota un giovane sfaccendato in piazza e, senza una particolare convinzione, assecondando l’automatismo di certi processi mentali, si ferma a perquisirlo. Nel portafoglio trovano la tessera dell’Organizzazione Todt, un’agenzia tedesca per il lavoro coatto nei paesi occupati. Perchè non sei al lavoro, ragazzo? Oggi avevo turno di riposo, sono uno studente, studio a Venezia. Beh, sali con noi, che verifichiamo. Pino Robusti non è un partigiano quando viene arrestato. Lo diventa in quei 20 giorni di detenzione alla Risiera, prima di finire nel forno crematorio. Le sue lettere clandestine ai genitori e alla fidanzata sono tra le testimonianze più preziose sulle condizioni di vita dei prigionieri al lager di San Sabba….”
Così Covacich conclude – dopo aver riportato la toccante lettera di Pino alla sua fidanzata e fortunosamente ritrovata – il racconto: “Vedo l’amore perfetto di Laura e Pino, i loro baci, l’incontro che non c’è stato sul marciapiede assolato di piazza Oberdan. Vedo ciò che deve aver visto Mascherini, ne sono sicuro, e mi chiedo se non sia giusto che i due amanti se ne restino abbracciati lì, in mezzo alle panchine, al posto del loro coetaneo Guglielmo”

Nota 2
Ettore Generini, “Trieste antica e moderna” 1884 : “E’ notevole la bizzarria del caso che fece trovare in questo luogo destinato a Caserma, un monumento funebre eretto da Publio Clodio Quirinale a due militi”

Nota 3
ibidem “ Nel 1838 coperto con triplice solida arcata il  torrente che fino allora scorreva scoperto di mezzo al vasto terreno che stendesi innanzi alla Caserma maggiore,  si  formò piazza sulla quale sorsero in  breve alcuni decorosi edifici. Una parte della stessa circondata da colonnette congiunte da catene di  ferro, è  elevata di alcuni  gradini sul livello della vicina via omonima.“

Nota 4
Gunther Schatzdorfer, “Trieste”… Il suo [di Oberdan] sacrificio fu privo di senso. L’irredentismo, che originariamente era stato un movimento stratificato, critico verso l’Austria e in parte anche anti-imperiale e repubblicano dei patrioti triestini, si trasformò in un movimento italiano nazionalista ed antislavo.

Nota 5
Jan Morris “ Trieste o del nessun luogo” scrive: “
Di fatto Trieste diventò una delle tante città provinciali italiane d’ incerte prospettive e ben presto smarrì il suo  antico fascino: James Joice, che vi fece ritorno per pochi mesi dopo la fine della guerra, ne fu ben presto deluso e se ne ripartì, stavolta definitivamente. Ma i fascisti se ne appropriarono e ne fecero uno dei loro pezzi da parata. Oberdan diventò un fascista ante litteram”

Nota 6
Fritz Todt quale Ministro degli armamenti ed approvvigionamenti dell’esercito nazista concepì una organizzazione – chiamata appunto Todt – di lavoro coatto impiegando prigionieri di guerra al fine di realizzare strade e ponti di interesse militare, ma anche opere squisitamente militari.
Un esempio di lavoro eseguito fu la famosa linea gotica, ma tantissimo questa impresa fece in Germania e nei paesi occupati impiegando una manovalanza a costo zero che arrivò fino al milione e mezzo di uomini. A Trieste la Todt aveva sede nel palazzo del Museo del Risorgimento che fu del tutto svuotato per fare posto a questa organizzazione tra i cui lavori troviamo anche parte della rete di gallerie nella zona del Tribunale e Scorcola nota come Kleine Berlin

Nota 7
Dalla www.retecivica.trieste.it in un documento della Direzione Area Cultura del Comune trascrivo questo pezzo che evidenzia in modo chiaro il clima di apertura (tolleranza?)  esistente a Trieste negli anni antecedenti la prima guerra e prima che gli animi si riscaldassero portando a vari episodi di violenza nei confronti di luoghi simboli della italianità.
.. L’esposizione di quei cimeli aveva un valore marcatamente politico: nell’ampio disegno noto come “nazionalizzazione delle masse” i musei, la scuola, le scelte in fatto di toponomastica e monumenti celebrativi attuate dalla giunta liberal nazionale – emblematico il monumento a Giuseppe Verdi – avevano lo scopo di affermare una identità italiana della città a dispetto della sua dipendenza dall’Austria e della composizione multietnica della sua popolazione. Offrire allo sguardo dei visitatori documenti e cimeli che rimandavano al periodo risorgimentale, sentito a Trieste ancora vivo e pulsante, rispondeva perciò agli scopi di una pedagogia finalizzata a indirizzare le nuove generazioni alla religione della patria”

Nota 8
Con l’ingrandirsi della collezione si ebbe poi la separazione del tanto materiale raccolto con la creazione del Museo del Risorgimento posto nella Casa del Combattente e il Museo di Storia Patria oggi ospitato nel Museo Morpurgo di via Imbriani.

Nota 9
La farmacia “Al Cedro” e quella di viale XX Settembre sono le uniche due farmacie comunali di Trieste

La mia Trieste, 7 Luglio 2016