La stazione ferroviaria di Trieste inizia in piazza Unità proprio sopra il tetto di un palazzo.
Il palazzo è palazzo Stratti, quello che sotto ha il Caffé degli Specchi.
Stando al centro della piazza Unità è difficile fermare lo sguardo e scegliere cosa si vuol guardare.
L’occhio resta rapito da una serie di bellezze, resta piacevolmente confuso e vagante da un palazzo all’altro, da motivi architettonici, statue, colori visti in rapida ed inevitabile disordinata successione.
L’altra sera due cari amici – lui di Bruxelles, lei di Parigi – come non portarli in piazza Unità e che piacere vederli del tutto incuranti del violento temporale sopra le nostre teste ed invece incantati dallo splendore dell’arte.
Troppo forte la pioggia, troppo piccoli gli ombrelli per raccontare lì di quei palazzi e figuriamoci se raccontare del gruppo scultoreo sopra palazzo Stratti dove la figura femminile al centro – Minerva – ha, alla sua sinistra, una locomotiva.
Siamo nel 1839 e la città reclama a gran forza di essere collegata a Vienna e al centro dell’Europa.
Lo scultore veneziano P. Zandomenighi, nel creare il gruppo scultoreo sopra palazzo Stratti, ci mette una allegoria che rappresenta le fortune dell’emporio triestino. Ci mette ruote dentate, martelli quali simboli della produzione, mette al centro Minerva dea della cultura. Alla sua sinistra l’auspicio di una linea ferroviaria con una locomotiva che allude a quella donata da Stephenson due anni prima all’Austria.
La ferrovia voluta da una città ben consapevole dei vantaggi che avrebbe comportato. (1)
Certo anche Vienna diventa consapevole. Ma forse non del tutto ed anche con una serie di piccole contraddizioni, mentre Trieste non ha dubbi nel volere questa più stretta unione.
Almeno questa la mia impressione.
Nel 1850 Francesco Giuseppe pone la prima pietra della stazione ferroviaria.
Tutto il progetto della linea ferroviaria, destinato a collegare Trieste con Vienna passando da Postumia, Lubiana, Graz e, in circa 17 ore di viaggio, a Vienna, viene affidato all’ing. Carlo Ghega.
Il Governo austriaco prima di affidargli questo ambizioso progetto lo manda in America dove visita tutte le linee ferroviarie costruite (circa una quarantina) ed in Inghilterra dove conosce anche Stephenson, l’inventore della locomotiva.
Trieste lo ricorda con una via a lui intitolata e con un piccolo busto in un angolo deserto dell’atrio principale della stazione centrale.
Quasi 600 km realizzati nel tempo brevissimo di 7 anni. Stazioni comprese. Un chiaro esempio di efficienza e capacità, tipiche di tempi che non sono l’oggi.
La stazione di Trieste viene inaugurata da Francesco Giuseppe, ancora in città per questo importantissimo evento, tra ali di folla. Si dice almeno 12 mila triestini e dal non distante Forte Kressich il cannone si fa sentire preciso alle 9.30 di questo storico 27 luglio 1857.
La stazione non è però quella che noi oggi vediamo.
E qui una delle piccole contraddizioni di cui sopra facevo cenno. Ghega è obbligato a fare la stazione nella zona dove oggi, sul viale Miramare, c’è un dopolavoro ferroviario e il distributore di benzina posto subito dopo Roiano.
Lì e ad una altezza di una decina di metri i binari vi giungevano passando sopra un viadotto ed anche una galleria appositamente fatta per prudenza vista la vicinanza del Lazzaretto.
La scelta di una stazione sopraelevata, seppure solo di una decina di metri, non si rivelò opportuna soprattutto perché a ridosso della collina e conseguentemente piccola. Inoltre poco funzionale alle merci per la relativa non vicinanza al porto.
Quasi a evidenziare che la costruzione di questa ferrovia sia stata qualcosa di accettato dal Governo di Vienna, ma senza moltissima convinzione, arriva solo un anno dopo l’apertura della linea: la cessione della stessa a una società privata con un contratto novantennale.
Pessimo esempio di gestione imitato dalla FFSS italiane di questi nostri ultimi decenni improntati a dismissioni e cessioni a privati.
Nel frattempo la linea inizia a mostrare tutta la sua importanza tanto è vero che il governo di Vienna decide di correre ai ripari rispetto l’errore commesso e di creare un secondo collegamento tra le due città. Ciò per non dover sottostare alle tariffe, divenute molto alte, imposte dalla società privata cui era stata “regalata” la linea ferroviaria.
Errore pagato a caro prezzo, ma chi ne beneficia è comunque la città di Trieste che ha una seconda linea che passa più ad est toccando zone di quella che sarà poi la Yugoslavia.
Nasce dunque la cosiddetta linea Transalpina la cui stazione di arrivo è posta a Sant’Andrea.
Risultata subito insufficiente nasce a poca distanza la stazione di Campo Marzio.
Siamo nel 1906.
Tornando alla linea Meridionale (così era chiamata la linea del 1857) anche l’errore commesso, nonostante la forte opposizione del Ghega alla dislocazione della stazione, viene riparato.
E’ così che già nel 1878, in una Trieste che è tutta un cantiere di importanti palazzi che sorgono, la nuova stazione è sistemata dove oggi noi la vediamo e – per decisa insistenza delle autorità locali – con un fabbricato molto ampio e stilisticamente notevole. (2)
Inevitabile un grosso lavoro di interramento utilizzando scavi alla collina di Scorcola e il trasferimento del Lazzaretto.
L’edificio della Stazione viene progettato in stile neo-rinascimentale da un architetto austriaco e più ristrutturazioni interne ha subito per arrivare ai giorni nostri.
Carlo Ghega non vide né il progetto della nuova stazione né la decisione della nuova linea ferroviaria.
Le sue posizioni molto nette e soprattutto la sua netta opposizione al programma di cessione di tutte le linee austriache a società private, lo portarono ad essere destituito e relegato a incarichi di nessunissima importanza.
La sua morte si dice essere per suicidio.
Lo scontro tra i burocrati (sempre presenti in tutti gli Stati di tutti i tempi. Varia solo la loro quantità) ed un uomo limpido, non poteva che risolversi come si è risolta.
Ho memoria della stazione negli anni ‘50.
L’atrio principale dove tutto era concentrato con la biglietteria parallela al fronte dell’entrata, sulla destra l’edicola molto grande e sempre piena di gente, il tabaccaio subito a sinistra dove ancora oggi si trova e tra l’atrio e i binari un piccolo giardino chiuso al centro con due corridoi che dall’atrio portavano ai binari.
Qui pensiline con il tetto in legno che avevano sostituito, subito dopo la guerra, il grande hangar (tipo stazione di Milano) distrutto durante la guerra.
Nella zona dei binari gli uffici del capostazione che berretto rosso in testa e fischietto dava il segnale della partenza, gli altri uffici tecnici e di movimento sempre in collegamento con la cabina di smistamento presente a lato dei binari fuori dalle pensiline e che dall’alto teneva tutto sotto controllo. La vediamo ancora oggi nelle foto come vecchio rudere da demolire.
Questa era la stazione.
Oggi la stazione è quella che vediamo uscita dal restyling del 2007 denominato “100 stazioni” che ha puntato in tutta Italia a fare spazio a negozi a beneficio dei viaggiatori come in uso negli aeroporti.
A nessun beneficio dei viaggiatori o loro accompagnatori lo spazio esterno alla stazione privo di alcun minimo spazio per fermare per pochi minuti l’auto e far salire o scendere chi arriva o parte. Un problema reale e sentito di cui nessuno si è mai fatto carico.
All’esterno sul lato della via Flavio Gioia è apposta una lapide che ricorda che da un binario verso il silos sono partiti tra il ‘44 e il ‘45 più di cento treni pieni di “passeggeri” per tornare indietro vuoti e caricarne altri. Lapide messa ben 57 anni dopo la partenza dell’ultimo treno.
Sulla banchina del binario 9 che è quello del tutto inutilizzato sulla destra ci sono 2 lapidi.
Una ricorda i “cittadini del litorale austriaco” che partirono per la guerra nel 1914. Lapide che nella sua dizione e per la data (l’Italia entrò in guerra solo nel 1915) sembra alludere solo a quelli che combatterono nelle file dell’esercito austriaco. Sono morti ed è giusto ricordarli con una lapide posta nel 2014 a cento anni di distanza.
Un cenno anche ai fratelli clandestinamente partiti e arruolatisi nell’esercito italiano e sotto quella bandiera morti, forse non era sbagliato. Morti sono morti tutti, chi nell’adempiere ad un dovere, chi seguendo i suoi ideali.
L’altra lapide ricorda dal lontano 1961 i ferrovieri morti sul lavoro e per la patria
All’interno della stazione i cambiamenti del 2007 hanno riguardato soprattutto la nuova biglietteria e quello spazio con il tetto trasparente, un tempo giardino inutilizzato, dotato di alcune file di sedie per i viaggiatori in partenza (3).
Decisamente gradevole e luminoso.
Sul sito delle Ferrovie leggiamo: “… Nuovo cuore funzionale della stazione è la “piazza” interna protetta da una piramide in vetro e legno lamellare: luogo ideale per occasioni d’incontro o per ospitare eventi “
Tutto si può scrivere. Importante è la realtà. La realtà la si vede passando di persona o guardando una foto. La foto della realtà è una di queste pubblicate.(4)
La facciata su Piazza della Libertà risulta vincolata dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio. Non si sa mai … un futuro restyling.
Nota 1
Così Adriana Giacchetti in un suo pezzo sul composito “Guida sentimentale di Trieste”, Vita Activa Edizioni, 2014 ricostruisce l’evento.
“19 giugno 1878, alla presenza del Podestà Massimiliano D’Angeli, viene inaugurato il nuovo edificio progettato dall’architetto Wilhelm von Flattich in puro stile rinascimentale. A dir la verità le maestranze sono riuscite ad ultimare soltanto l’atrio e alcuni uffici, ma il taglio del nastro si fa lo stesso sull’unico binario agibile. Trecento invitati su un treno di diciassette carrozze.
La vecchia stazione più modesta non esiste più, in trent’anni il traffico di merci e passeggeri è talmente aumentato da richiedere un edificio monumentale, con un atrio vastissimo caratterizzato da ampie vetrate. Il pavimento del cosiddetto Salone Reale è di marmo lucidissimo. Potrebbe essere usato per il ballo delle debuttanti. Allora magari, passerebbe di nuovo in visita l’Imperatore … “
Nota 2
I vanataggi sul piano del commercio e quindi del tenore di vita dei triestini furono da subito ben evidenti. La saggezza popolare ne diede atto con con quella canzone la cui ultima strofa recita:
E adesso che gh’avemo
la strada ferata,
la boba in pignata
mai più mancherà!
(Boba = minestrone o comunque modesto pasto usato perlopiù dagli operai e portuali) (pignata = pentola)
Nota 3
Le file di sedie hanno sostituito ovunque le vecchie “sale viaggiatori” suddivise per classi, prima, seconda e terza finché la terza è esistita (1956) ove attendere il proprio treno se esso – come spesso avviene – è in ritardo. Ovunque, meno in alcune stazioni come Mestre dove nonostante il grandissimo passaggio di viaggiatori non esiste alcun posto dove appoggiare le stanche membra.
In compenso però ci sono molti negozi. Ma i negozi sono altra cosa e non sostituiscono le sedie.
Però i negozi alle FFSS rendono, le sedie sono solo un costo.
Nota 4
Affinchè sia chiaro – in materia cosi delicata – il pensiero di chi qui scrive valga questa breve nota.
Esistono due problemi da risolvere che sono vicini ma non identici.
Esiste l’ estrema povertà – in costante aumento – di persone italiane che nulla hanno più e il cui tetto della casa perduta è ora il cielo.
Ed esistono i c.d. migranti.
Soluzioni a questi due distinti problemi che abbiano un minimo di serietà non passano nessuna da una stazione ferroviaria