Tra le tante cose ignote (o meglio … poco conosciute) della città brilla (anche) l’Orto Botanico dove io entrai una volta da piccolo con mio nonno e poi più volte solo in questi ultimi anni di studio e ricerca su Trieste.
A salire per San Luigi e diretti su al Ferdinandeo, Cacciatore, Cattinara e oltre, ci si passa davanti, dove la strada fa una marcata S. Si passa e normalmente si continua a salire con il piede ben saldo sull’acceleratore perché lì la via tira forte in su.
Un’occhiata distratta e fredda, come è freddo l’aspetto severo del suo ombroso ingresso principale. (1)
Dentro è ben altro a cominciare dalla deliziosa casetta rosso arancio, un tempo casa del custode ed ora reception e uffici con il suo orologio solare; ma per avere un “dentro” serve prima entrarci e solo così assaporare, tra profumi più o meno forti a seconda delle stagioni, la ricchezza di una infinità di piante e di alcuni alberi … secolari.
Non stupisca il “secolari”. Sul Carso – solo in questi ultimi decenni divenuto verde – pietre da sempre (2) e arbusti tanti. Sarà stata l’accetta dell’uomo (3) o la bora, ma di alberi ben pochi.
Ed è così che Il Comune pensa a un rimboschimento e di fare una sperimentazione destinando a questo progetto la zona dove ora sorge l’Orto Botanico.
Chi se non Domenico Biasoletto poteva occuparsi in quei primi decenni dell’800 di questo progetto?
Quale studioso di botanica e farmacista (4) già il Biasoletto gestiva un orto nella zona di quella che sarà la via Coroneo nei pressi dell’attuale carcere, sempre di proprietà del Comune, dove teneva lezione agli studenti di farmacia e coltivava erbe medicinali iniziando a pubblicare dal 1831 l’elenco delle sementi inviato a tutti gli altri orti botanici italiani e austriaci. Questa attività di rendere pubblico il contenuto dell’Orto e di mettere a disposizione di altri studiosi le varie sementi continua sino ai giorni nostri.
Ora si chiama Index Seminum ed è pubblicato annualmente – salvo alcune interruzioni – dal 1877. (5)
Stante le sempre maggiori difficoltà economiche in cui quell’orto farmaceutico della futura via Coroneo si veniva a trovare per scarsezza di aiuti da parte del Comune e per una sua destinazione a frutteto, il Biasoletto pensò di trasferire il suo “giardino dei semplici” (6) in questa nuova area contigua al Boschetto. Il giardino dei semplici è ora una delle 12 partizioni in cui si suddivide l’Orto Botanico ed è anche la più antica.
E’ sempre del Biasoletto la scelta di puntare sul pino nero austriaco per fare questa sperimentazione, stante la robustezza e la caratteristica di questa pianta di non avere necessità di molta terra per le radici.
Dunque qui, sulle prime pendici verso nord ovest del colle di San Luigi, inizia nel 1842 l’avventura dell’Orto Botanico di Trieste, con l’appassionato lavoro del Biasoletto coadiuvato “dietro le quinte” da Muzio de Tommasini, che in quegli anni rivestiva importanti incarichi fino ad essere Presidente del Magistrato e poi Podestà della città.
Biasoletto e Tommasini erano amici, entrambi botanici anche se il Tommasini per questioni di vil denaro – come lui stesso diceva – aveva dovuto tradire la botanica che non gli avrebbe dato da vivere (7) convertendosi agli studi giuridici e a carriera forense e di uomo politico.
Ed è proprio Muzio de Tommasini che, dopo la prematura morte del Biasoletto e liberatosi degli incarichi politici, prende la direzione dell’Orto Botanico.
Anch’egli qui trasferisce le sue coltivazioni, che aveva mantenuto privatamente e incrementato negli anni di grande impegno come uomo politico con il lavoro di amici e di una persona che lui assunse per andare alla ricerca di rare specie di piante, catalogarle, studiarle.
Fra i suoi discepoli uno che in particolare eccelleva e che Muzio de Tommasini aiutò anche economicamente negli studi all’Università di Vienna: Carlo de Marchesetti che assunse la direzione dell’Orto, ma dopo un periodo in cui Raimondo Tominz, – progettista anche del verde di Piazza Lipsia (ora Pz Hortis) e di Piazza Giuseppina (Pz Venezia) e figlio di Giuseppe Tominz, (8) pittore triestino molto noto – ebbe la direzione alla morte del Tommasini.
Con Carlo de Marchesetti siamo agli inizi del ‘900 e l’Orto – che nel frattempo è stato aperto al pubblico – si arricchisce di altre parti come quella per le piante palustri e piante alpine e per sua insistenza assume il ruolo di pubblica istituzione annesso al Museo di Storia naturale. Un ruolo che Muzio de Tommasini aveva chiesto e il Comune aveva frettolosamente negato, dando prova di grande ingratitudine, proprio nei giorni in cui Il Tommasini moriva dopo aver tanto dato alla città.
Da Marchesetti la direzione passa a Joseph Muller personaggio interessante e bizzarro. Muller era uomo di scienza (9) ma entomologo e questo creò qualche problema.
Le preoccupazioni di alcuni che temevano uno snaturamento dell’Orto Botanico portarono all’affiancamento di un curatore aggiunto.
Ma l’impostazione del Muller partiva oltre che dalla sua formazione anche dall’intento di rendere più interessante agli occhi dei triestini l’Orto Botanico portandovi animali da lui presi nelle sue spedizioni. Fra cui scimmie che talvolta scappavano e lui inseguiva per la città (10).
Passano altri direttori e pian piano per l’Orto Botanico si avvicinano tempi bui ancor più di quelli delle due guerre, nonostante l’impegno di chi ne aveva la responsabilità operativa.
Mezzena che è genero di Carlo Lona, il precedente direttore dell’Orto, assunto l’incarico nel 1960 programma subito una serie di lavori di ripristino e riordino che nel giro di un ventennio riesce con mezzi sempre più scarsi in parte a realizzare. (11)
Molto fitta e documentata la corrispondenza del direttore Mezzena indirizzata ai competenti uffici del Comune chiedendo un minimo di risorse per il funzionamento. E nessuna risposta. Dunque una precisa volontà politica di disfarsi di questa istituzione ritenuta inutile e solo un puro costo per le casse del Comune. E questo in tempi come gli anni ‘70 e ‘80 in cui l’economia andava molto bene e non si parlava di spending rewiev e tagli ed ancora tagli.
Inevitabile la chiusura. E’ l’autunno del 1986. (12)
La nomina del biologo Sergio Dolce a Direttore del Civico Museo di Storia Naturale (di cui l’Orto fa parte) dà una svolta positiva alla vicenda. Persona preparata e che per i suoi incarichi pregressi conosce il calvario di questo posto, riesce a iniziare un programma di risanamento, ristrutturazione, pulizia.
Poi, finalmente, anno 2000, l’orto viene parzialmente riaperto al pubblico. Già alcuni anni prima il curatore Massimo Palma – tuttora in carica – era riuscito a riprendere la pubblicazione dell’Index Seminum che era stata sospesa e a portare avanti altre ristrutturazioni e migliorie.
Questa molto in breve una storia di oltre 170 anni. (13)
Oggi.
L’Orto Botanico offre al visitatore un giardino costituito da 12 parti:
1 – Piante spontanee
2 – Piante da appartamento
3 – Piante ornamentali
4 – Florilegio di piante magiche
5 – Giardino dei semplici
6 – Piante acquatiche e fiori di loto
7 – Piante alimentari
8 – Giardino formale
9 – Piante tintoree
10 – Piante utili
11 – Orto dei veleni
12 – Sentiero paleontologico
e numerosi alberi ad alto fusto
Nella parte bassa dell’Orto la statua dedicata a Domenico Biasoletto.
Nicola Bressi è dal 2012 succeduto al biologo Dolce mentre Massimo Palma continua ad essere il curatore dell’Orto Botanico.
Molte le iniziative intraprese per avvicinare questa realtà ai cittadini. Spettacoli, concerti, giornate in cui privati o associazioni onlus possono esporre senza costi le loro piante o semi o talee o bulbi per vendita o fare scambio.
Molte le visite di bambini delle scuole materne o elementari.
Questa molto in breve una storia di oltre 170 anni. Una storia che per il futuro è affidata a quelle scolaresche non più scolaresche e a quanto possano credere nelle piante.
Nota 1
Il vecchio ingresso è proprio sulla curva, un po’ nascosto. Un piccolo cancello in ferro che apre con dei gradini su vialetti che entrano nel cuore dell’Orto.
L’altro, quello che ora è comunemente usato, dà sulla via De Marchesetti appena terminata la S,
Nota 2
Una vecchia favola, per bambini e non, racconta che quando Dio ebbe terminata la creazione del mondo gli avanzò un mucchio di sassi ed allora ordinò all’angelo Gabriele di spaccarli e di buttarli in mare. L’Arcangelo si mise al lavoro, riempì un sacco con tutti quei sassi frantumati e portò via il pesante fardello.
Il diavolo lo vide mentre passava sopra l’altopiano del Carso, l’inseguì di soppiatto e tagliò le cuciture del sacco. Tutta la gran massa dei sassi rotolò fuori e ricoprì l’intera zona fino al mare. Il Signore però ebbe pietà della povera gente del Carso e fece nascere sul quel terreno roccioso la vite che dà il vino migliore di questa terra
Nota 3
Sembra che il taglio degli alberi sul Carso abbia una ragione ben precisa: quella dell’allevamento del bestiame che necessitava di terreni coltivati a pascolo.
Solo nel ‘900 in occasione delle 2 guerre Carso e Boschetto sono stati usati per sopperire a primarie necessità di fonti di calore nelle case.
Nota 4
La sua farmacia aperta nel 1817 era in Ponterosso, sul Canale. Ed ancora oggi la farmacia sull’angolo del Canale con la via Roma si chiama Biasoletto.
Il nome originario era “Spezieria all’Orso Negro”,
Nota 5
“Il Civico Orto Botanico di Trieste … pubblica l’ Index Seminum dove vengono di anno in anno elencate le specie di cui si offrono i semi, complete di tutti i dati di raccolta. La gestione delle collezioni e delle sementi è svolta da un database dedicato appositamente creato. L’Index Seminum è inviato a molti altri Orti Botanici del mondo per uno scambio gratuito tra Istituti Scientifici ed è disponibile in rete”.
Dal sito “L’Orto Botanico d’Italia”.
Nota 6
Il termine “semplici” deriva dal latino medievale “medicina simplex” e sta ad indicare le erbe medicinali.
Il grande orto di Firenze con erbe medicinali si chiama proprio “Giardino dei Semplici“ e fa parte dell’Università di Firenze.
E’ giusto ricordare che l’Italia ha una grande tradizione (mi riferisco all’Europa) di orti dei semplici iniziata con la famosa scuola di Salerno del XIII secolo che fu la prima in Europa.
Ma come è noto le erbe hanno fornito medicamenti (e veleni) sin dall’antichità.
Il primo cenno lo troviamo in Plutarco che fa riferimento ad un orto di erbe medicinali del III secolo avanti Cristo.
Nota 7
Anticipando con incredibile lungimiranza i nostri tempi nel nostro Paese ove la ricerca ha le difficoltà che sappiamo, egli così scriveva:
“.. la botanica è scienza che non offre prospettive di lucro, specie nei nostri Paesi, ove non si apprezza se non ciò che procura guadagno reale e immediato”
Nota 8
Giuseppe Tominz pittore ritrattista, nato a Gorizia, vissuto in vari periodi a Trieste, scuola di pittura a Roma. Alcuni suoi dipinti sono al Museo Revoltella fra cui un famoso autoritratto. Famoso perché egli si ritrae seduto in … bagno con una carta (igienica) in mano.
Ma al di là di questo scherzoso dipinto egli ritrasse moltissime persone della nobiltà e borghesia triestina. La prima a scoprire il suo talento fu la sorella dell’Imperatore Francesco I.
Nota 9
Joesepf Muller va ricordato anche per essere l’ideatore e progettista dell’Acquario Marino di Trieste inaugurato nel 1933.
Nota 10
Si racconta che il Muller soleva vestirsi con una larga tunica sotto la quale nei mesi estivi non portava alcun indumento neppure intimo.
Si racconta altresì che un giorno di una calda estate egli si mise a correre dietro una scimmia che era scappata e andava giù verso il centro. Corri e corri, scimmia davanti e Muller dietro, arrivarono in Acquedotto in quel momento ben affollato di triestini in cerca di refrigerio sotto gli alti alberi. E li la caccia divenne serrata tra l’ilarità degli astanti per quell’insolito spettacolo.
E spettacolo nello spettacolo: il Muller che correva incurante del fatto che la tunica si fosse nel frattempo del tutta aperta attirando altre risate.
Notizia tratta da una conferenza del febbraio 2012 di Nicola Bressi, attuale Direttore dei Musei Scientifici di Trieste, sulla figura e importanza di Joseph Muller.
Nota 11
Tra i vari lavori si possono citare:
rifacimento vasche piante acquatiche; pavimentazione vialetti; restauro della casa uso uffici e laboratori; recinzione dell’Orto; manutenzione e lavori straordinari per riscaldamento delle serre il cui impianto risaliva al 1907; cartellinatura con il nome delle piante accanto ad esse; pubblicazione del “Delectus Seminum” con offerta di semi delle piante carsiche.
Obiettivo del Mezzena è anche quello di dare più risalto nell’Orto alle specie carsiche in modo da farle conoscere dagli altri Orti.
Nota 12
Alla volontà di disfarsi dell’Orto Botanico non si può apporre alcun colore politico preciso. Sembra un programma condiviso da tutti visto che in quegli anni si sono alternati alla guida della città la Democrazia Cristiana (Franzil, Spaccini, Richetti), la Lista per il Melone (Cecovini), il Partito Socialista (Agnelli).
Nota 13
Per raccontare questa lunga storia mi sono avvalso per molte notizie – e ringrazio – del lavoro di Odilla Celli “Il nostro Chiadino. Storia, cronaca e vicende del Civico Orto Botanico triestino” edito dall’Associazione Cittaviva.