Il Canal Grande non è solo ponti. (III parte)
(( L’articolo si compone di 4 parti e non solo dalla terza, la sola che invece Google richiama. Pertanto si consiglia di partire dalla prima.
– prima parte: https://www.lamiatrieste.com/2020/06/03/__trashed-4/
– seconda parte: https://www.lamiatrieste.com/2020/06/03/__trashed-4/2/
– terza parte: https://www.lamiatrieste.com/2020/06/03/__trashed-4/3/
– quarta parte: https://www.lamiatrieste.com/2020/06/03/__trashed-4/4/ ))
Come bene spiegava ai turisti quella guida di cui ho riportato alcune parole all’inizio di questo articolo, il Canale è dove un tempo v’erano le principali saline di Trieste, in un’epoca in cui il sale era come oggi è il petrolio. E allora perché distruggerle per far posto a un semplice canale?
E mi vengono ancora in mente le parole della guida che si domandava con malcelato stupore “una targa in onore di Maria Teresa, unico unico tributo – come mai ? – della città a una regina che l’ha fatta regina”.
A 23 anni improvvisamente su un trono e subito alle prese con una lunga e tremenda guerra. Finite le imprese belliche Maria Teresa si dedica a trasformare un vecchio Stato in un moderno Impero. Anche Trieste serve per questa operazione.
Per Trieste decide un acquedotto, un primo ospedale (zona piazza Oberdan), l’abbattimento delle mura che rinchiudevano nel piccolo una città che doveva diventare grande, il consolidamento del molo San Carlo (Audace) che così diventa fruibile per attracchi, il molo teresiano sul quale tanti decenni dopo sarà costruita la Lanterna, l’estensione della zona di punto franco vigente solo per il porto a tutta la città (14), la formazione dell’ufficio tavolare che tutta Italia ci invidia, un nuovo lazzaretto, la costruzione di un grande canale dove i velieri potessero entrare e, entrando, entrare nel borgo che si stava costruendo – il Borgo Teresiano – nuovo epicentro dei commerci. Altro.
Poco importa se per fare il Borgo Teresiano e il canale bisognava sopprimere le saline, principale risorsa per Trieste, perché bastava rifarle a Zaule e il problema fu così risolto.(15)
Grandi decisioni e quel che conta – anche con il senno di poi – tutte giuste e quel che ancora più conta rapidità di esecuzione. Che Maria Teresa, quella targhetta su un palazzo di via Rossini lungo il Canale se la sia meritata ? (16)
Verso il 1750 viene definito il progetto e non era semplice prendere le decisioni perché la zona annoverava 3 canali (17) e una ipotesi era sì di interrare saline e acquitrini, ma mantenere i 3 canali e renderli navigabili per una maggior penetrazione del mare e relativi commerci dentro la città.
Prevalse l’opinione di un solo canale scartando anche l’ambizioso progetto redatto sotto Carlo VI di costruire ben 19 canali, una trentina di ponti, una quarantina di isolati e una decina di km di banchine.
Ci sono testi (18) dove si parla di un progetto di 9 canali, ma come bene argomenta la studiosa Maria Laura Iona il progetto iniziale cui tutti fanno riferimento – quello dell’ing. Fusconi 1736 – era nella realtà un progetto di massima che ebbe tutta una serie di modifiche. Insomma da 19 si è passati a 9, poi a 3 e infine ad 1 solo, ma bello grande e funzionale alle esigenze della città. (19)
Contravvenendo alla mia costumanza di riportare solo in nota citazioni di libri, annoto qui nel testo alcune righe davvero belle tratte dalla “Guida al Forestiero nella città di Trieste” edita a cura del Lloyd Austriaco nel 1845: ”Il terreno era maremma e salina, tagliata da 3 canali, l’uno del vino che per la piazza della Borsa giungeva a Riborgo; l’altro medio che arrivava alla chiesa odierna di Sant’Antonio accogliendo 2 torrenti; il terzo a un dipresso ove è il letto del torrente maggiore; tutti e 3 accessibili a piccole barche e disposti pel servizio delle saline. Allorquando fu deliberato di fissare la distribuzione della città nuova i pensamenti erano svariati assai; alcuni volevano allargati i canali e moltiplicati da ridurre la città nuova ad isole; altri vi volevano costrutte ampie darsene in mezzo ai fabricati; prevalse il piano che venne mandato ad effetto, e fu quello di allargare il canale medio rendendolo capace a maggiori bastimenti”.
Dunque un unico canale che verrà definito Canal Grande quasi a voler con questo nome sfidare la rivale di sempre. Sfida giocata con grande coraggio perché ben altro la nascente Trieste riuscì a prendere alla tramontante Venezia.
L’ing. Pirona che progettò il Canale era veneziano e ivi progettista di canali. Anche un’ altra figura importante, Domenico Caparazzolo, ideatore di una utilissima macchina cavafango, lavorava a Venezia ed entrambi traghettati a Trieste dal “capitano Caracciolo, che era stato a capo delle maestranze dell’Arsenale di Venezia” cosi come scrive il prof. Silvio Rutteri. (20)
Molta rabbia dunque nella città lagunare per questi furti tanto da dover porre sotto scorta l’ing. Pirona nel timore che venisse rapito.
Nel 1756 dopo soli 2 anni di lavoro, i 370 metri del Canale largo 28, con tutte le opere di “allargamento, scavazione e muratura” – così come scrive lo Scussa nella sua “Storia Cronografica” – sono pronti ed anche l’unico ponte, quello rosso in legno, è funzionante.
Chissà che emozione per il comandante del primo veliero che, imboccato il Canale, superato il Ponte Rosso, avrà attraccato gettando le cime agli uomini di terra per fissarle alle bitte in pietra d’Istria. E mezza Trieste sulle sponde del Canale a guardare questo spettacolo imparentato con la storia.
In fondo al Canale una serie di gradini per risalire alla strada con ai lati le due teste dalle quali sgorgava acqua dolce e potabile utili per i velieri e loro equipaggi. (21)
Con l’interramento di quella parte di Canale le 2 teste, ovviamente prive di getto d’acqua, sono state poste dove oggidì finisce il Canale.
Dunque il Canale fino al 1934 arrivava dove oggi a destra c’è la via Dante (a quel tempo via S. Antonio) e a sinistra l’attuale via XXX Ottobre (a suo tempo via dei Forni).
Davanti terreno libero e solo dopo 10 anni sorge la prima delle 3 chiese – tutte dedicate a Sant’Antonio – che nel tempo si sono succedute nel posto.
Le prime due sorgono entrambe in posizione molto più arretrata rispetto l’attuale chiesa cioè in corrispondenza della via Santa Caterina. Demolita la prima perché piccola e demolita la seconda perché anch’essa piccola.
Per avere lo spettacolo delle colonne e del pronao della chiesa riflesso nel canale si dovrà attendere la metà del 1800 con Pietro Nobile artefice della grande chiesa di Sant’Antonio Nuovo con la sua facciata in stile neoclassico. Chiesa che fino al 1934 si è riflessa con facilità in quella parte di Canale che è stata interrata usando materiale di riporto delle demolizioni in CittàVecchia e seppellendo lo scafo di una piccola nave da guerra che ivi era rimasta perché in avaria.
Nessuno mi chieda cosa ci facesse una torpediniera austriaca nel canale. Forse alla fine del conflitto, sentendosi morire avrà preferito non un glorioso (???) inabissamento in mezzo al mare, bensì infilarsi in acque basse e sicure risparmiando ai marinai brutta fine e facendo un gran regalo ai ragazzini della città che – si dice – facessero su quella torpediniera giochi impossibili da dimenticare per tutta la vita.
L’interramento dell’ultima parte del Canale fa parte di quei grandi lavori che sconvolsero il centro città agli inizi degli anni ‘30.
Parte delle case di Città Vecchia furono demolite per mettere in luce il teatro romano, erigere il palazzo della Questura, creare una arteria che dalle rive, fiancheggiando il palazzo del Lloyd e poi il teatro romano riemerso dalle tenebre potesse in modo scorrevole puntare verso piazza Dalmazia e da lì verso il Carso usando la via Commerciale o la via Fabio Severo.
Ma quelle che oggi si chiamano via San Spiridione e via Filzi – cioè la direttrice per piazza Dalmazia – non erano collegate perché in mezzo v’era il Canale senza che nessun ponte vi fosse costruito in corrispondenza alle due vie.
Le piantine ad inizi ’800 mostrano chiaramente la situazione delle strade nella zona del Canale. (22)
La scelta fatta nei primi anni ‘30 fu ancora di non costruire un ponte bensì di interrare quella parte di Canale e così nacque piazza Sant’Antonio, a quel tempo con il nome Umberto I. Una piazza sulla quale insistono a brevissima distanza 2 chiese così diverse tra loro, una in stile neoclassico ed austero e l’altra in stile prettamente bizantino e piena di ricchezze.
Per il momento la sfortunata torpediniera sta vincendo, pur inabissata, le sue battaglie, quelle che la vorrebbero disseppellita per fare strabilianti cose. Ad esempio un grande parcheggio sotterraneo oppure uno stravolgimento della piazza con delle vasche oppure riportando il canale, riveduto e corretto fino a dove era prima del 1934.
Nel 2005 nasce l’idea del parcheggio fonte di dure critiche che hanno affossato il progetto e innescato di conseguenza un contenzioso tra il Comune e la società che doveva costruirlo.
Nel 2016 la politica alla vigilia delle elezioni comunali si inventa lo slogan “trasformare Trieste da città sul mare a città di mare”.
Lo slogan serve a lanciare un progetto di riqualificazione dell’area di piazza Sant’Antonio che tra 2 soluzioni – quella che punta a rifare integralmente la piazza e quella che punta alla sua abolizione e ritorno dell’acqua come prolungamento del Canale – preferirebbe la seconda.
Gli architetti sono prontamente al lavoro. Anche qui le critiche sono feroci contro uno stravolgimento dell’assetto attuale della piazza e i cittadini fanno sentire la loro voce quasi unanime nel dire che ciò che necessita è la “riparazione” della piazza in tutte le sue componenti lasciate per troppo tempo senza cura alcuna. (23)
In modo particolare si fa presente che lo slogan è vuoto perché non tiene conto del rapporto intimo e ben forte dei triestini con il loro mare, il viverlo ai bagni appena c’è un raggio di sole (24), le migliaia di barche disseminate nei tanti porticcioli, il “Nautico” come scuola di eccellenza che ha formato migliaia di capitani e uomini di navi, una non dimenticata tradizione di cantieri. E perché no, la Barcolana.
A tutti appare chiaro che Trieste e il mare non sono 80 metri di canale in più (25) e che quello che serve non è nemmeno distruggere una piazza per farne una nuova, ma semplicemente risistemarla in maniera radicale stante il lungo e progressivo degrado.
Sicuramente nell’animo dei triestini più che il “no se pol” deve aver prevalso la preoccupazione che una piazza che ora è vissuta, diventi un freddo spazio come le rifatte piazza Goldoni o piazza Vittorio Veneto o nel suo piccolo la galleria del Tergesteo, luogo consolidato di incontri ed oggi bello, pulito, ma desolatamente vuoto in tutte le stagioni.
Ma anche la rifatta piazza Ponterosso appare vuota, pura zona di distratto transito.
Il Comune per tramite del portavoce del sindaco nel 2019 chiude la partita dicendo “Dopo alcuni rifacimenti di piazze risultati sgraditi, i cittadini vogliono evidentemente uno spazio vivibile, un luogo per passare del tempo e non solo per passarci sopra”.
La decisione attuale (2020) è dunque per una manutenzione straordinaria della piazza – selciato, fontana, siepi – che fa seguito alla manutenzione straordinaria della facciata della chiesa e delle vie lungo il Canale che hanno riavuto la pavimentazione in masegno come un tempo.
Negli anni ‘50 le pietre delle vie Bellini e Rossini erano state coperte da uno strato di asfalto per renderle più scorrevoli al traffico delle auto esistente fino al termine del 1977.
Ora l’attuale operazione (2019) ha riportato alla luce le vecchie pietre ed integrati i molti punti mancanti con masegno regalato dall’Autorità Portuale che ne disponeva nei suoi magazzini.
La via Bellini rifatta dalle rive fino a via San Spiridione e la via Rossini dalle rive fino alla via Roma.
Non solo piazze e vie hanno bisogno di manutenzione, ma anche un canale. E’ così che una accurata manutenzione straordinaria è stata fatta al Canale nel 1974 a cura (e spese) dell’Azienda Autonoma di Soggiorno diretta in quegli anni dal prof. Cumbat. Sei mesi di lavoro per una pulizia dei fondali, rifacimento della scalinata al termine del Canale, rifacimento e consolidamento delle sponde, restauro delle scalette per le imbarcazioni e molte altri lavori meno appariscenti, ma che tutti insieme hanno contribuito a dare un volto più ordinato e pulito al Canale.
Pulizie delle acque del Canale sono state fatte negli ultimi anni per intervento della società sportiva “Mare nordest”.
Privati dunque che hanno a cuore il Canale. Azienda Autonoma di Soggiorno, Soc. Sportiva Mare Nordest, Rotary.
Sì, il Rotary che nel 2012 ha fatto tornare visibile ciò che rimane dell’ idrometro inciso nella pietra e situato a livello dell’acqua nella zona sottostante a dove ora c’è la statua di Joyce . Una targa in bronzo del Rotary, purtroppo poco leggibile per come è stata concepita, sistemata sopra il parapetto del ponte, rammenta l’esistenza di questo idrometro che dava indicazione delle basse maree della fine 1700 e probabilmente era usato per dare ai velieri informazioni utili della profondità del canale in un determinato momento della marea.
Nota 14
La Patente concessa da Carlo VI prevedeva l’esenzione di dogana e dazi per l’entrata e l’uscita dal porto, oltre che per i passaggi delle merci da nave a nave mentre permaneva l’obbligo di dogana per le merci che entravano in città.
Quasi nullo il vantaggio per la città da questo provvedimento del 1719. Ci si attendeva grandi cose, ma non fu così per svariate ragioni tra le quali la fredda accoglienza riservata dalla antica aristocrazia delle grandi famiglie proprietari terrieri e commercianti di sale che non erano pronti a traffici più ampi di altre merci.
Dopo 30 anni Maria Teresa estende i benefici della zona franca a tutta la città di Trieste.
E’ una decisione coraggiosa che si accompagna ad altri piccoli provvedimenti in grado di “attirare commercianti, imprenditori, avventurieri da tutto il mondo”.
Tra questi provvedimenti vanno ricordati grandi facilitazioni economiche per la costruzione di palazzi / uffici nell’erigendo borgo teresiano ed “accanto all’esenzione fiscale, anche l’impunità per delitti commessi in precedenza altrove, la cancellazione dei debiti …“
Tante decisioni piccole e grandi che vanno a costituire un pacchetto vincente.
Come scrive Gunther Schatzdorfer nel suo libro “Trieste” edito da Gaffi, 2008, avvenne che il nuovo assetto”tornò a vantaggio anche dell’antica aristocrazia del luogo e portò così a una riduzione delle tensioni tra questa e i nuovi cittadini… Questi stranieri portavano a loro volta i loro contatti commerciali nei loro paesi d’origine, cosa che tornava utile anche ai vecchi cittadini”
Nota 15
Le saline nella zona di Zaule funzionarono fin verso la metà del 1800, quando per ragioni di contrasto alla malaria, furono progressivamente interrate. Lo Scussa più volte citato in questo articolo fissa nel 1828 la chiusura scrivendo “Soppressione delle saline a Zaule e Muggia”.
Nota 16
Qui annotati i tributi della città a Maria Teresa.
– La targa messa a 212 anni dalla sua morte sulla casa d’angolo tra la via Roma e la via Rossini. Una sola frase, seppure in varie lingue, “Sovrana d’Austria promotrice della Trieste moderna e cosmopolita in ricordo”
– In occasione del bicentenario della morte a cavallo tra fine ‘80 e inizio ‘81 si tiene alla Stazione Marittima una mostra su Maria Teresa organizzata dal Comune ed integrata da mostra filatelica e numismatica.
– In occasione del trecentesimo dalla nascita si apre a ottobre 2017 e fino al marzo 2018 una mostra interattiva nel “Museo delle Idee” (per intenderci… quello a sinistra di … Mirella) che ha avuto un grande afflusso di pubblico. Belle le parole della Ispettrice onoraria della Sopraintendenza Rossella Fabiani – già responsabile negli anni ‘80 del Museo Storico di Miramare, curatrice di numerose mostre ed attualmente anche Presidente della Società Minerva – che all’inaugurazione così ha sintetizzato “A Trieste vengono declinati i riflessi della politica di governo e di riforme di Maria Teresa che si rintracciano in provvedimenti e operazioni capaci di trasformare il piccolo centro, ancora di fondazione medievale e chiuso al limite settentrionale dell’Adriatico, in un porto dagli sviluppi sorprendenti, nuovo sbocco dell’Europa orientale, al servizio di quell’Impero, che l’Imperatrice contribuirà a far uscire dalla tradizione ancora feudale verso la modernità”
– Nel novembre 2018 esce un bando di concorso a cura di apposito Comitato costituito all’interno dell’ Erpac (Ente regionale patrimonio culturale) per un monumento a Maria Teresa da mettere in piazza Ponterosso nella parte davanti la banca BNL.
A marzo 2019 la giuria di cui al bando fa le sue scelte che sono convalidate dalle “primarie” cittadine che vedono un gran numero di triestini votare.
L’agenzia ANSA l’11 marzo scrive: “A raffigurare Maria Teresa d’Austria in una statua sarà l’opera Moneta, un grande tallero con sopra il volto dell’imperatrice d’Austria. Lo ha annunciato oggi il presidente dell’Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, illustrando il punteggio delle votazioni dei cittadini, ieri, e quello della Commissione”.
Ad aggiudicarsi l’incarico con l’opera Moneta sono Eric Gerini, Nicola Facchini e Elena Pockay.
Il Comunicato Stampa degli organizzatori dice:
“… L’idea del tallero nasce da una ricerca visiva sui modi in cui l’imperatrice Maria Teresa d’Austria veniva storicamente ritratta. Una delle sue immagini più diffuse e conosciute è quella che venne riprodotta sulla moneta che prende il suo nome: il “Maria Theresia Taler”. Questa moneta iniziò a circolare nel 1780 e venne utilizzata nei commerci internazionali per più di cento anni. (omissis) La grande moneta verrà incastonata nel pavimento di piazza del Ponterosso, per simboleggiare i denari dell’Impero che, all’epoca, sono stati impiegati per migliorare la nostra città, come la stessa piazza e il Canal Grande. Il territorio di Trieste si configurerebbe come un grande “salvadanaio”, un luogo pieno di potenzialità e ricchezze che ancora oggi potrebbero essere fruttate.
Il retro della moneta, rivolto verso il canale, avrà un effetto specchiato. Questo lato del tallero sarà levigato tanto da rendere la superficie liscia e riflettente. L’idea è quella di creare una faccia della medaglia dove il volto presente sulla moneta sarà quello del visitatore stesso, che si troverà riflesso nella scultura assieme al canale, frutto dell’operato dell’imperatrice…”
Nota 17
Come annota il Generini nel suo più volte citato libro del 1884, la zona prima dei cambiamenti era attraversata da 3 canali. Uno detto il Piccolo Canale o canale del vino partiva dal mare per salire verso la zona di piazza della Borsa e del Riborgo. Attualmente la via che dal caffè Tommaseo arriva in piazza della Borsa si chiama appunto via Canal Piccolo.
L’altro detto il medio è quello che da origine al nostro. E il terzo, che era il più corto dei tre, saliva dal mare verso l’attuale via Ghega.
Nota 18
Nella sua pubblicazione “Gli edifici di Porto vecchio a Trieste: storia, architettura e tecnica” la prof.ssa Diana Barillari menziona che il progetto prevedesse 9 e non 19 canali.
Nota 19
Maria Laura Iona “L’Immagine di Trieste” reperibile presso la biblioteca dell’Archivio di Stato di Trieste.
Nota 20
Silvio Rutteri, “ Trieste,storia e arte tra vie e piazze” Ed Lint, 1981
Nota 21
Ovunque si trova scritto che è il torrente Starebreck a fornire di acqua queste due fonti di pietra sul canale. Ma lo Starebreck proviene dal Farneto e scende più o meno sotto la via Ginnastica. Dunque incrocia e finisce dentro il corso d’acqua proveniente da Rozzol e Barriera e che va a formare il torrente Grande ossia quello che scorreva a cielo aperto ed ora interrato sotto l’attuale via Carducci. Ma se finisce nel torrente Grande non può certo oltrepassarlo per puntare verso la zona del Canale.
L’acqua per le due teste nel canale arrivava invece da un fontanone che c’era in quegli anni in via della Zonta. Per fontanoni si intendono pozzi “coperti da una struttura a cupola, sormontati da una costruzione in muratura, dotati di sistemi di pompaggio e di vasche esterne per la raccolta dell’acqua.” (definizione in “Sotterranei della Città di Trieste” di E. Halupca, A Halupca, P. Guglia. Ed Lint).
Durante i lavori di costruzione della nuova Chiesa di Sant’Antonio verso il 1830 la conduttura fu tagliata e le due piccole fonti sulla scalinata in fondo al Canale restarono per sempre a secco.
Nota 22
Stante la strettezza del Ponte Rosso e la possibilità che fosse chiuso perché invece … aperto per il transito velieri, il traffico dalle rive e dal centro cittadino verso nord (Vienna) e verso ovest (Friuli ed Italia) doveva passare per il Corso e poi a sinistra per l’attuale via Dante e XXX Ottobre. In tal modo si arrivava alla piazza Dalmazia (ex piazza della Caserma) e da lì si imboccava la via Commerciale aperta nel 1780 o la via Fabio Severo aperta più tardi verso il 1830 fino ad arrivare all’altopiano e da lì puntare verso Vienna.
E’ contemporanea all’apertura della via Fabio Severo la strada che attraversa Opicina e va verso nord voluta dal Governatore De Zinzerdorf così come ricorda una stele in centro a Opicina.
Quella che oggi è via del Friuli con tracciato esistente già nel 1700 assicurava invece il collegamento con il Friuli e l’Italia
Nota 23
L’architetto Antonia Merizzi così scrive a luglio 2019:”qui esiste una piazza inserita in un contesto ottocentesco, sapientemente disegnata, gradevole e molto frequentata. Io credo che non ci sia bisogno di stupire con progetti che modificano ciò che esiste: questa piazza rappresenta un prezioso spazio aperto, storico, ricco di memoria, rimasto ancora integro. Mi chiedo che necessità ci sia, per questa bella piazza, di dover per forza sperimentare innovazioni architettoniche “con piazze metafisiche” …. … La piazza S. Antonio Nuovo, così come si presenta oggi, ricca di spazi verdi, diventati componenti fondamentali di questo spazio aperto, è davvero molto piacevole nella sua attuale composizione … “
Nota 24
“I triestini ci vanno anche senza andarci perché il mare a Trieste è un lato della stanza, ti alzi al mattino e sai dov’è, stai dove stai e sai che c’è. Questo solo per dire che qui il mare viene percepito diversamente dalle altre grandi città costiere. Napoli, Palermo, Genova hanno un mare meno prossimo, meno accessibile: appena fuori, s’incontrano splendide località litoranee, ma c’è meno confidenza tra la vita quotidiana della gente e la vita quotidiana del mare. A Trieste invece si fa il bagno in centro città (Lanterna, Ausonia) [ e io aggiungerei anche il bagno alla Diga. E perché no? anche Pineta e Topolini e NdR] … Questa frequentazione famigliare e più assidua spiega l’uso dell’espressione triestina andar al bagno per intendere andare al mare (e non andare alla toilette), come se Barcola fosse la vasca di casa, quella si raggiunge scalzi o tutt’al più in ciabatte.”
(Mauro Covacich, “Trieste sottosopra“,Ed Laterza, 2006)
E quanti altri scrittori hanno parlato perlopiù in termini autobiografici del loro mare di Trieste e dei suoi bagni come l’Ausonia, la Diga, Grignano, la Lanterna, Punta Sottile, Sistiana, Costa dei Barbari.
Gillo Dorfles, Boris Pahor, Claudio Grisancich, Pino Roveredo, Pietro Spirito, Biagio Marin, Claudio Magris e certamente altri di cui mi sfugge conoscenza.
Di Claudio Magris riporto alcune parole di una sua intervista rilasciata nel 2019 al Corriere della Sera “Per me è impensabile un amore senza il mare. Il mare, so benissimo che anche esso non è eterno, però il ‘non tempo del mare’ – come si intitola l’antologia di Biagio Marin che ho fatto tanti anni fa con Pier Paolo Pasolini e Guido Davico Bonino – dà l’idea dell’essere. Quando sono al mare non voglio niente, voglio solo essere lì. Ha il senso dell’infinito presente e l’amore nei momenti forti è questo: un infinito presente”.
Nota 25
In una delle relazioni che accompagnano uno dei vari progetti presentati, l’architetto – di cui ometto il nome – scrive:“scalinata-teatro che scende fino a bordo acqua, riavvicinando questa parte di città al mare”.
Miracolo di 80 metri di acqua.. C’era stato un miracolo un 2000 anni fa di acqua trasformata in vino. Qui è miracolo di acqua che trasforma una città di terra in una città di mare.