Storia e arte s’affacciano sul Canale Ponterosso (IV parte)
L’acqua non increspata dalle onde è ottimo specchio per palazzi che non guasta vederli due volte, una volta all’insù, ma anche capovolti specularmente riflessi nell’acqua del Canale.
Anche la chiesa di Sant’Antonio, se ci si pone sul Ponte Rosso e con la luce giusta si può vederla riflessa nonostante l’acqua non arrivi più ai suoi piedi.
Certamente non la si vede bene come invece la vide con gli occhi dell’artista Cesare Sofianopulo, il pittore triestino della prima parte del secolo scorso che prima dell’interramento si fece un doppio autoritratto.
Lui a destra e anche a sinistra del dipinto stando di tre quarti e in mezzo la chiesa riflessa nel canale. Gioco d’artista, lo potresti chiamare: due soggetti – lui e la chiesa – che diventano quattro.
Lungo è l’elenco dei quadri che riprendono il Canale.
Il mio elenco, del tutto incompleto, porta i due dipinti in olio su tela di Nicola Sponza, uno con la visuale dal Ponte Rosso verso la Chiesa e l’altro che incrocia il Canale per spaziare sulla omonima piazza e verso la chiesa serbo ortodossa.
C’è l’acquerello di Livio Comparin (da non confondere con il pittore Scomparini) del 1939 che è ricostruzione a posteriori del Canale com’era perché nel quadro si vede l’acqua che arriva ancora alla Chiesa mentre era già scomparsa 4 anni prima.
C’è l’acquerello di Guglielmo Grubissa.
Tantissime le stampe. La litografia di Giuseppe Broili; quella di L. Boccacci databile 1850 perché la chiesa di Sant’Antonio è già terminata mentre sulla destra si nota ancora la vecchia chiesa dei serbi ortodossi; quella di L.F. Cassas datata 1802 molto interessante perché si vede in fondo la prima chiesa di Sant’Antonio in stile barocco, campanile sulla sinistra; la litografia in rame di Giuseppe Pollencig che mostra bene i 4 fanali che c’erano sul Ponte Rosso.
Quadri e stampe per un Canale visto dall’occhio soggettivo dell’artista, ma anche la fotografia preziosa degli Alinari, dello studio Wulz, dello studio Penco per dare nitida visione realistica dei velieri a fine ‘800 e qualcuno a inizi ‘900, ormeggiati lungo le sponde del Canale, della vita attorno al Canale e di com’era la piazza Ponterosso tutta un susseguirsi di bancherelle e le loro venderigole.
Oggi il Canale è altrettanto vivo non per velieri e commercio, ma per turisti e tanti triestini in giro a vivere la loro città; per un caffè antico, il Stella Polare; per Dick dal dopoguerra fonte di luce (lampadine e fili elettrici); per un calzolaio sempre chiuso, per una piccola agraria, un supermercato non invasivo, per bar e pizzerie tante con i tavoli a bordo Canale ed in alcuni punti anche nello specchio d’acqua con zatteroni per i tavolini.
E poi sempre loro, i palazzi, a dare cornice al posto pieno di storia. Ognuno di essi testimone della vita sorta lungo il Canale. I nomi degli edifici portano a uomini che hanno creato ricchezza e lavoro e spesso giunti da lontano attratti da una città in pieno sviluppo.
Scaramangà, commerciante di origine greca che come tanti non badava solo al soldo, ma anche all’arte. Il piccolo museo Scaramangà di via Filzi n.1 ha le opere che lui ha raccolto e donato alla città. Particolarmente sobrio il suo palazzo sito sulla sinistra all’altezza della piazza Sant’Antonio e riconoscibile per avere sotto il vecchio negozio Dick.
Hierschel era commerciante ebreo e dall’ing. Butazzoni si fece costruire il lungo palazzo impreziosito da bassorilievi del Bosa (allievo del Canova) che occupa l’intero isolato da via Filzi a via Roma.
Sulla parte destra del palazzo è fissata la targa apposta dal Comitato Maria Teresa nel 1992 che ricorda l’Imperatrice, così come raccontava con aria stupita quella guida all’inizio del nostro viaggio sul Canale. Sulla targa si legge: “Sovrana d’Austria promotrice della Trieste moderna e cosmopolita in ricordo”. Laconica frase ripetuta in 8 lingue diverse.
Biasoletto, grande botanico triestino e farmacista (la sua farmacia all’angolo della via Roma porta ancora il suo nome) cui va il merito del rimboschimento del Carso e della creazione dell’Orto Botanico.
Homero per molti anni Presidente della Comunità greco ortodossa. Stante la sua origine greca non stupisce l’affresco sul soffitto dell’atrio con la bandiera greca, ma in una versione che ha fatto discutere molto alcuni studiosi.
Le loro case formano una sola chiamata Biasoletto-Homero e va dall’angolo della via Roma alla casa Galatti che è d’ angolo con la via XXX Ottobre e guarda la passerella. Ad oggi (2020) la casa Galatti è l’unica la cui facciata non è stata ristrutturata. E si nota.
Galatti, famiglia nobile greca, anche loro, i fratelli Costantino e Stefano, commercianti e divenuti molto ricchi.
Nella parte sinistra il palazzo porta una lapide che ricorda Domenico Rossetti dove un “qui” nel testo induce in errore visto che in quel palazzo né visse né morì. (26)
Ai nomi poco noti di Reyner – Reinelt non corrisponde poco valore quali uomini di fortunati commerci e di ricchezze elevatissime. La casa Reyner, sull’angolo di via Rossini con via Trento, invero modesta da come la si vede in una foto, non esiste più, sostituita prima del 1920 da quella progettata da Ruggero Berlam per Reinelt che rilevò l’impresa iniziata da Taddeo Reyner, carinziano, di modeste origini, asceso a Trieste da seminarista a fondatore di un impero commerciale, armatoriale, finanziario, industriale. Lo troviamo tra i fondatori del Lloyd Austriaco di cui per anni ne fu Presidente.
Carlo Reinelt è invece l’erede delle fortune dei Reyner. Presidente della Camera di Commercio, Direttore della RAS.
Uomini illustri con i loro sobri palazzi, ma anche palazzi che con la loro personalità quasi offuscano quella dell’uomo che li volle.
E’ così infatti che alcuni palazzi – di cui ora ho fatto cenno e sono sulla sinistra del Canale a partire dal fondo, a partire dalla casa Sgaramangà – non sono di molto pregio estetico, ma testimoniano bene quell’aspetto commerciale fatto di casa-ufficio-magazzino che ha caratterizzato un periodo e una zona.
A dar bellezza sul fondo oltre la classicità della Chiesa Sant’Antonio che porta istintivamente a pensare ai templi greci, v’è l’aurea ricchezza della Chiesa serbo ortodossa con le sue forme piene e viaggia per il mondo immortalata ogni giorno da centinaia di cellulari.
Sulla destra il pieno della teoria dei palazzi che dalle rive va a Sant’Antonio, si interrompe con lo spazio ampio della piazza Ponterosso. Spazio ampio, ma dal tempo della ristrutturazione, reso tremendamente freddo e vuoto.
Desolato il Giovanin sulla asciutta sua fontana perché i lavori pensati per abbellire l’hanno privato di ciò che di un monumento fa una fontana.
Se il suo sguardo non puntasse verso il basso egli vedrebbe, oltre la via Roma e in fondo all’altra parte della deserta piazza, la facciata del palazzo Genel – dal nome del suo primo proprietario, un ricco commerciante del tessile venuto dalla Svizzera – che presta uno dei lati al Canale. Dentro al palazzo una banca e prestigiosi uffici. Ed anche lussuose abitazioni da quando nel 2019 una società a prevalente capitale inglese ha comperato i piani sopra la banca e tutto radicalmente ristrutturato.
Il palazzo si impone non solo sulla piazza con la sua ricca facciata e 4 colonne doriche, ma anche sul lato del Canale. Un cubo grigio, imponente, severo.
Brilla invece sulla sinistra il palazzo Gopcevich – già lo citava la nostra guida – con i suoi mosaici che con il sole giusto mandano riflessi d’incanto. A costruirlo a poco meno di 100 anni dalla apertura del Canale, per l’armatore serbo-montenegrino Spiridione Gopcevich, è l’arch.Giovanni Berlam già artefice di tantissimi palazzi in città.
Stile prettamente lombardo veneto come evidenziano soprattutto le finestre.
In onore delle origini del proprietario 4 statue di personaggi illustri della Serbia in nicchie sulla facciata.
Oggi nel palazzo che è di proprietà del Comune si trova il Civico Museo teatrale Fondazione Carlo Schmidl ed al terzo piano la Direzione e la Biblioteca dei Civici musei di Trieste.
Quanto diverso il palazzo a fianco del Gopcevich che è il più recente – 1928 – tra tutti quelli che si affacciano su Canale. Palazzo Aedes, ma comunemente detto “il grattacielo rosso”.
Aedes non è il nome del primo proprietario, come solitamente avviene, bensì della Società che ne volle la costruzione, una costruzione travagliatissima per problemi di approvazione del progetto da parte del Comune e che vide di conseguenza numerosi cambiamenti.
Alla fine, sotto la direzione dell’arch. Arduino Berlam – figlio di Giovanni autore del contiguo Gopcevich – il palazzo viene terminato. Il soprannome di “grattacielo” è dovuto alla somiglianza con lo stile dei grattacieli americani salvo per … l’altezza. Anche l’altezza fu fonte di discussioni e l’autorizzazione alla costruzione impose il limite dei 9 piani in modo da non superare – ma di fatto la supera – l’altezza della cupola di palazzo Carciotti. E bene fu un limite all’altezza.
Dal 1932 è di proprietà delle Assicurazione Generali la cui sede è a fianco, sulle rive.
Il palazzo, dopo la lunga ristrutturazione dal 2015 al 2020, è ora impiegato come Campus per la formazione del management delle Generali e sede per eventi del gruppo. Ad inizio 2020 sul tetto è stato posto un enorme leone alato, simbolo delle Generali.
Dall’altra parte, ad inizio Canale, il palazzo Carciotti che presta ad esso solo il lato, come del resto anche palazzo Aedes. Solo il Gopcevich – tra quelli più pregiati – insiste con la facciata sul Canale.
Forte palazzo Carciotti con la sua cupola di rame costruito a fine 1700 e che sarà poi sede pretigiosa delle Assicurazioni Generali. E forte è il grattacielo rosso. Entrambi danno segno chiaro che lì è il canale. L’avverte il turista che sulla nave da crociera approda al molo Bersaglieri, l’avverte il velista che arriva per lo storico appuntamento di ottobre e l’avverte il turista appena esce dal posteggio del molo IV. (27)
Come le due luci nel mare di notte che indicano l’imbocco di un porto: la rossa che è sempre a sinistra (e qui a sinistra grattacielo rosso) e la verde sempre sulla destra (e qui a destra il verderame della cupola).
Non si può dunque sbagliare per trovare il Canale e ascoltare ciò che dice quella guida.
Nota 26
Una lapide o targa su un palazzo di solito indica che ivi quella persona nacque o visse o morì. Ma di certo in questo palazzo Domenico Rossetti né nacque né visse. La casa paterna dove sicuramente avrà passato i primi anni d’infanzia era dall’altra parte del Canale ossia dove poi è sorto il palazzo Genel.
Pare che sulla sinistra del Canale vi fossero comunque altri possedimenti della antica famiglia Rossetti.
Nota 27
Molto interessante una riflessione della prof. Barillari menzionata alla nota 17.
Ella, a proposito dell’assetto del Porto Nuovo (Vecchio) rileva come una linea retta congiunga l’imbocco del canale da lei individuato con il grattacielo rosso passando lungo l’asse dei vialoni principali del porto per arrivare sul Faro della Vittoria e da lì a Monte Grisa.
“… i viali sono veri e propri cannocchiali puntati sulla città che, anche nel suo sviluppo successivo, continua a dialogare con il porto. Il Faro della Vittoria e il santuario di monte Grisa verso nord-est, il palazzo Aedes (il Grattacielo) lungo le rive, sono posti in asse con la maglia viaria in modo così puntuale che sorge il sospetto di una scelta intenzionale compiuta dai progettisti, Ruggero e Arduino Berlam e Antonio Guacci” (Guacci progettista del santuario di Monte Grisa N.d R.).