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La Riviera di Barcola

Anche da queste parti gli antichi romani…
Non solo dove era scontato, e tutti sanno, come sul colle di San Giusto (resti del forum e dei 2 templi pagani sotto la chiesa) o giù nel nostro attuale centro (teatro romano) o in Cittàvecchia, in via Santa Caterina, in via Bramante, ma altresì l’approdo in zona Lanterna, il Capofonte in rione San Giovanni e resti in Val Rosandra, alle Foci del Timavo, in piazza Libertà, a Punta Sottile, in zona ospedale Maggiore, alla Maddalena e Poggi Sant’Anna, a Montebello. Ossia posti dove forse non ci si aspetterebbe di trovare vestigia romane perché di esse difficile o impossibile è ora la vista.
Anche il lungomare di Barcola è stato luogo di residenza di ricchi patrizi romani e più in là, in direzione Sistiana, di ville molto meno ricche di quelle di Barcola, forse di persone dedite al commercio da e verso Aquileia, compreso il commercio della pietra proveniente dalle cave – appunto romane – di Aurisina.

Piazza Libertà era mare e così la zona della stazione, del viale Miramare con i flutti che lambivano l’incipiente collina.
Gli occhi chiusi ci possono portare a 2000 anni fa’. Allontanandoci dal borgo Tergeste in località Vallicula (che poi sarà Valcula ed infine Barcola) , sulla destra, verso monte, un insediamento molto importante abitato tra il 50 a.C e il 200 d. C da persone molto importanti. La più nota Calvia Crispinilla definita “magistra libidinum Neronis”, donna d’affari e senza scrupoli che certamente ha dato, con le sue ricchezze, ulteriore sfarzo alla sua dimora.

I ritrovamenti nella zona compresa tra la via del Boveto (quella del cimitero di Barcola) e il c.d. albergo degli americani sono nell’ultima decade del ‘800.
Opinione diffusa è che si trattasse di 2 ville vicine divenute poi una sola molto grande. Ma forse molto più corretto dire che siamo in presenza di 3 complessi distinti di cui la prima è la vera villa.

E’ chiamata la “villa della statua” perché lì fu rinvenuta la statua alta circa 1,20 che rappresenta un atleta. Alcune parti mancano ed oggi è visibile al Museo Lapidario, ora rinominato “Lapidario Tergestino” cui si accede dal piazzale interno del Castello di San Giusto. (31)
Ivi sono raccolti nella stanza C alcuni mosaici dei pavimenti di varie parti della villa che sono le uniche cose che assieme alla statua sono giunte ai giorni nostri.
La villa era situata esattamente a destra dell’attuale albergo Greif Maria Theresia dove ora ci sono delle villette.
Molto ampio il fronte sul lato mare (200-300 metri) con sulla destra (avendo le spalle al mare) il peristilio cioè il giardino contornato da statue che sul lato monte aveva le stanze (cubicula).
Tornando al fronte del mare a sinistra del peristilio c’era la grande esedra cioè una terrazza semicircolare. Dietro c’era il ninfeo ossia la zona dei banchetti piena di fontane e statue e piante.
Questo detto in modo più che stringato, ma al Lapidario Tergestino, su una parete v’è un grande disegno con la ricostruzione del sito (32).

L’altro complesso edilizio romano era dove oggi sorge la palazzina di appartamenti esattamente dietro l’Hotel Greif Maria Theresia. All’atto della costruzione della palazzina sono emersi dei mosaici in bianco e nero che attualmente sono conservati nella zona sotto al garage della palazzina, protetti da un geotessuto e poi sopra 20 cm di sabbia. Dunque non visibili.

Un terzo complesso c’era dove oggi sorge il c.d. hotel degli americani, quel grosso edificio con le facciate in piastrelle di cotto antico di fronte all’ex capolinea del tram 6, costruito verso il 1950 per alloggiare le famiglie dei soldati americani (33) in aggiunta ai villini che si stavano facendo a Villa Giulia.
Nei lavori di scavo per le fondamenta della parte destra emerse un tratto di muro della villa romana ed una serie di mosaici.
Qui le notizie si fanno confuse.
Si dice che dopo l’interruzione dei lavori il Sopraintendente alle antichità di Trieste Mirabella Roberti avesse autorizzato la prosecuzione dei lavori edilizi senza salvare alcunchè.
Ma si dice anche che la prosecuzione dei lavori fosse stata autorizzata a condizione che la committenza si prendesse la responsabilità di far trasportare i ritrovamenti in sede opportuna.
Un piccolo ricordo della romanità del posto c’è nell’atrio della Caserma dei Carabinieri sito al pianterreno di questo edificio. Qui il pavimento è in mosaico, con firma dell’arch. Fulignot, che richiama disegni romani come se egli avesse voluto dare in qualche modo testimonianza di ciò che aveva visto.

Quasi 50 anni prima (1852) v’era stato il primo ritrovamento di queste antiche testimonianze di un lontanissimo e fausto passato e precisamente in località Cedas dove ora sorge la steakhouse Old Wild West. Nulla però è arrivato ai giorni nostri e del porticciolo che tutti dicono essere il porticciolo romano non vi sono tracce che possano risalire a 2000 anni fa’.(34)

Altre ville molto meno ricche di quelle di Barcola c’erano in direzione Sistiana.
Una a Miramare dove c’erano le stalle arciducali del castello e un’altra a Grignano dove ora c’è la chiesa. Molto poco attendibile, vista la conformazione del terreno, l’ipotesi sostenuta da taluni che le 2 ville poi si fossero unificate.
Della villa di Grignano ne parla lo storico Kandler più volte citato in questo sito.
Ed ancora più avanti una villa in località chiamata a suo tempo Bellavigna ossia subito a destra (spalle al mare) dei Filtri e il Kandler dice di avere visto alcune tracce.
Sicuramente una villa c’era in località Canovella, ma del porticciolo costruito dai romani di cui molti parlano non si è mai trovata traccia.

E’ però logico presumere – ma non ci sono oggettivi riscontri – che tutte queste abitazioni avessero un approdo più o meno grande. Nessuna strada che le collegasse alla Tergeste e nemmeno le ville in zona Barcola avevano una via d’accesso come oggi c’è il viale Miramare. Dunque accessi o via mare o via terra usufruendo di piccole strade che potevano partire da mezza costa, più o meno il percorso dell’attuale strada del Friuli

Recentemente (2013) in occasione di scavi dell’Acegas sul viale Miramare davanti alla  Canottieri  Saturnia sono emerse grosse pietre che con ogni probabilità erano la banchina della grande villa romana.
Oh quanto mi sarebbe piaciuto che la vecchia via asburgica ripercorresse il tracciato di una via romana costruita per collegare tutte le ville! Del resto i romani – quelli antichi – erano specialisti in strade. Ma la fanta-archeologia farebbe brutto torto al lavoro paziente di tanti studiosi che riescono a darci squarci di storia del lontano passato anche dove le tracce sono ben poche.

Ma voglio ritornare a quel 1851 e agli anni subito seguenti pieni di stupore, meraviglia, gioia.
Ad un primo entusiasmo che ha caratterizzato le 2 campagne di scavi fine  ‘800 fatto di una corsa dei proprietari dei terreni a facilitare le ricerche ed anche a finanziarle (basti pensare che ad es. il proprietario dell’Exlesior aveva concesso una zona dove collocare i reperti archeologici) è succeduto un raffreddamento verso queste scoperte forse perché troppe e tali da compromettere del tutto lo sviluppo della zona che si stava trasformando in zona di abitazioni ed anche di fabbriche (35).
Quindi ritrovamenti, ma anche coperture.
Le hanno chiamate “necessità edilizie” ed in parte si può capire stante l’ampiezza delle scoperte archeologiche in tanti punti diversi della zona.
Un’ampiezza che ha fatto dire a qualcuno che Barcola avrebbe potuto essere per i turisti la Pompei del nord.
Chissà, forse, se dal primo ritrovamento del 1851 fino ad arrivare ad oggi ci fosse stata una volontà di conservazione, la zona si presenterebbe del tutto diversa.
Ma non è semplice prendere queste decisioni che hanno così forte impatto sulla urbanistica di un rione ed immaginare le loro conseguenze.
A suo tempo – parliamo della fine ‘800 – un’unica voce si fece sentire molto forte in difesa della conservazione di tutte le testimonianze dell’antica Roma che stavano emergendo. Era quella di Filippo Zamboni (36) un garibaldino trasferitosi poi a Vienna.

Il fortunato visitatore che arriva a Trieste percorrendo la Costiera (da Sistiana a Miramare) ha una prima introduzione alla bellezza nel contempo discreta e fiera della città. Poi, con la riviera di Barcola, ha un assaggio concreto di un pezzettino dell’ anima di Trieste, multiforme e imprendibile.
“Qui il mare è libero nel cuore della città, qui per chilometri la gente si spoglia sulla passeggiata che è in riva al mare. Senza confusione, senza strepito, in civile convivenza …. In Italia non esiste una città altrettanto libera dall’ossessione dei pregiudizi sessuali, altrettanto ignara del peccato. …. Sulla strada-spiaggia i ragazzi e le fanciulle hanno il sereno pudore di chi non si preoccupa del pudore: sembra di essere in un ginnasio prima dell’invenzione del peccato… “ (37).
Giorgio Bocca ha scritto queste frasi alcuni decenni fa. Molto di questa atmosfera che lui descrive si è persa o trasformata. Parecchio è anche rimasto.

Nota 31
Da non confondere il Museo Lapidario o Lapidario Tergestino che si trova nel Castello di San Giusto con l’Orto Lapidario che è in via della Cattedrale davanti la chiesa di San Giusto.
L’errore è vieppiù facilitato dal fatto che inizialmente questi reperti erano nell’Orto Lapidario e in molti siti è indicato che sono ancora lì.

Nota 32
N
ella sala C dei mosaici c’è anche un plastico dentro una teca di circa 2 metri per 1 che riproduce in maniera tridimensionale il sito. Molto utile per capire come era quella zona con la villa (o con le ville) . Purtroppo il vetro che ricopre il plastico è perennemente (ossia tutte le numerose volte in cui sono andato) incrostato per l’umidità e sporco. Impossibile dunque vedere alcunchè.
Ma non è l’unico grave difetto del posto che avrebbe bisogno di maggiore attenzione e rispetto per chi vuol sapere, indigeno o turista che sia.

Nota 33
Decisamente problematica la costruzione di questo edificio. Il progetto fu affidato all’arch. Guido Fulignot il cui lavoro fu bocciato innescandosi delle tensioni tra i competenti uffici comunali e l’amministrazione americana. Alla base di queste tensioni v’erano dei malintesi sui criteri che doveva avere esteticamente l’edificio, in primis l’impatto architettonico nei confronti del tipo di abitazioni della zona.
Le sostanziali modifiche della nuova progettazione vengono affidate ad un pool di 3 architetti fra cui Nordio.
Ovunque si trova scritto che l’arch. Fulignot non aveva le capacità per progettare un complesso così importante e quindi inevitabile la sua “messa in disparte”.
La mia personale opinione è che la sua testa sia stata sacrificata sull’altare di un compromesso politico che doveva essere raggiunto tra le parti politiche in contenzioso.
I 3 architetti hanno presentato un nuovo progetto (con budget di spesa molto più elevato) , e lavorando su input del tutto diversi, ma soprattutto concordati tra le parti in contenzioso. Basti pensare alla facciata dell’edificio che per limitare il sopraggiunto vincolo dell’impatto – che Fulignot non aveva ricevuto – diventa una facciata stretta con una fila di 3 finestre al posto del precedente progetto con una facciata con fila di 11 finestre.
La forma da U diventa ad L.

Nota 34
“E’ tradizione che il porticciolo di Cedas sia costruzione romana … il prof Attilio Degrassi (archeologo 1887 – 1969 N.d.R.) ,che esaminò tutte le opere portuarie della Giulia, ci informò che nulla di romano più esiste, salvo, forse, le basi sottomarine sulle quali la famiglia Conti, proprietaria delle tenute a monte del Cedas, fece costruire – come informa il Kandler – l’attuale porticciolo” … ” e ciò nel XVII secolo”.
Dalla “Rivista mensile della città di Trieste”.

Nota 35
La prima distilleria della Stock, la Baker liquori, la Carlo Pollack saponi, il Coloricio Zankl, la Jacopo Serravallo vino di china ferruginoso, i Fratelli Janousek essenze, una fabbrica per la vaselina, una di raffineria della ozocherite (sostanza di origine bituminosa utile per creme e rossetti), una fabbrica di ghiaccio ed altre realtà come piccoli cantieri nautici.

Nota 36
Molto eclettica e perciò interessante la figura di Filippo Zamboni, studioso, poeta, ricercatore, nato a Trieste verso il 1825, ma poi studia a Roma ed infine va a vivere a Vienna. Interessanti le sue corrispondenze con Carducci ed altri letterati del tempo, le sue fantasiose ricostruzioni dei dialoghi degli ultimi istanti degli uomini di Pompei ed Ercolano.
Grande amore verso Italia, ma nello stesso tempo spirito anarchico; italiano che preferisce andare a vivere a Vienna dove poi morirà.
Nell’ottobre del 1888 da Vienna lo Zamboni scriveva “Ho sentito e ho letto della scoperta degli edifici d’antica villa romana fatta a Barcola, presso Trieste….. Io non intendo come sia possibile che, avendo la sorte propizia fatto uscire alla luce un tal monumento, non prevalga unanime l’idea di conservarlo “.
Egli critica ferocemente l’idea del Comune di riportare su disegno quanto trovato e poi seppellire tutto e scrive:
“Codesta Pompei in miniatura, essa già pur sul mare, a me che ho chiamato Trieste, – vista e goduta specialmente dalla parte dove son venute alla luce queste antichità – la ‘Napoli del settentrione’ . Lode dunque a quei cittadini che hanno votato per la conservazione del documento”.
…” I romani antichi si compiacevano di codesto soggiorno (cioè la villa. NdR). Io non so darmene pace! Distruggere col piccone ciò che è così saldo, così bello. Il caso vi dà senza fatica di abbellire con un monumento la vostra città, di renderla più interessante, più storica, e voi distruggete ogni cosa”.

Nota 37
Giorgio Bocca 1920 – 2011, giornalista e scrittore
Testo riportato nel libro di cui nota 4

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La mia Trieste, 31 Dicembre 2019