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Il Manicomio

Marco Cavallo

Sul web a proposito di Marco Cavallo si trova di tutto e di più.
Per i più pigri valgono le mie poche righe.
C’era una volta un cavallo che degenti e personale avevano chiamato Marco. Era impiegato per i trasporti interni (per la lavanderia, per le cucine ecc). Divenuto vecchio fu destinato al macello e sostituito da un camioncino.
Decisione che a tutti nel manicomio parve del tutto ingiusta. Fu “egli stesso” che scrisse e firmò una petizione al Presidente della Provincia sostenendo le proprie ragioni di vita e trovando le soluzioni economiche per il proprio mantenimento.
Nella realtà fu salvato dalla uccisione dal farmacista del manicomio che ne assunse i costi per un meritato pensionamento presso le stalle dell’Ippodromo.
Per festeggiare il lieto fine della storia venne deciso di costruire una grande statua e Vittorio Basaglia, cugino di Franco Basaglia promotore a Trieste di un laboratorio artistico collettivo si occupò di creare questa statua.
Ma che centra un cavallo con i matti?
Il cavallo andava e veniva per le varie palazzine, girava per viali e vialetti, usciva dal manicomio per andare a prendere qualche merce. Un “uomo” libero dunque!!
Un cavallo che assurge a simbolo di libertà.
E’ il 1973 e il grande cavallo di cartapesta, azzurro, cresce e si prepara ad uscire per andare in città sancendo così in modo simbolico l’unione tra questa e il manicomio.
Ed è ancora carico di significato simbolico il fatto che la statua fosse troppo grande per riuscire a passare dal cancello del manicomio. Di ciò ci si accorse solo al momento della uscita.
Su come sia stato risolto il problema ci sono 2 versioni. Una che dice che Franco Basaglia assieme ai suoi collaboratori si sia messo a demolire materialmente un pezzo di muro fino a creare il varco sufficiente.
Altra versione meno suggestiva dice che si sia presa la decisione di usare la statua come un ariete rischiando che la struttura fosse seriamente danneggiata. Si dice che la statua resistette uscendo solo leggermente ammaccata.
Mi piace credere alla prima ipotesi e mi vedo il dott. Basaglia armato di piccone a risolvere l’ imprevisto.

Mi piace chiudere queste poche righe con parole non mie scusandomi di ignorare – e quindi citare – chi le ha scritte.
Decisero che gli zoccoli dovevano essere forti per permettergli di correre fuori dalle mura di cinta, che gli occhi fossero posizionati in alto per poter guardare lontano e di non sbagliare strada; che il collo fosse dritto e muscoloso per non doversi piegare mai. Fu anche deciso che il suo colore doveva essere l’azzurro come il cielo, come il mare, come la libertà. Quanto alla pancia doveva essere grande per contenere tutti i desideri.”

Altre statue

La statua per antonomasia è quella di ferro che, in alto della via Weiss, riproduce l’originaria in cartapesta di Marco cavallo.
Ma è giusto rammentare quella ai bordi del piazzale principale con la Palazzina della Direzione, dedicata Giorgio Galatti, commerciante di origine greca, che fece fortuna a Trieste costruendo per sé il palazzo di piazza Vittorio Veneto angolo via Geppa ora sede della Provincia, ma qui ricordato da questo busto per l’ingente lascito che permise al Comune di costruire il manicomio.
Più che una statua trattasi di un semplice busto sopra una colonna e con una targa di non facile lettura.
C’è poi in alto, nei pressi della strada che porta al Teatro una scultura metallica …. Io di questa scultura non saprei proprio cosa dire.
Un vecchio leone in pietra dà il benvenuto a chi entra nell’area dell’ex manicomio.

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La mia Trieste, 6 Febbraio 2016